Editoriale
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E dimmi che non vuoi morire...

La cambio io la vita che/non ce la fa a cambiare me (...)/portami al mare, fammi sognare/e dimmi che non vuoi morire... Sono passati quasi venti anni da quando Patty Pravo cantava questa canzone. Oggi, stiamo attraversando una fase di cambiamento epocale: dalla cultura, all’economia, alla politica. Il costume e i valori di riferimento, le relazioni sociali e le forme di rappresentanza e rappresentazione politica, le imprese e i mercati si allontanano sempre più dal modello con il quale li abbiamo identificati e vissuti fino a qualche tempo fa.

La cambio io la vita che/non ce la fa a cambiare me (...)/portami al mare, fammi sognare/e dimmi che non vuoi morire... Sono passati quasi venti anni da quando Patty Pravo cantava questa canzone. Oggi, stiamo attraversando una fase di cambiamento epocale: dalla cultura, all’economia, alla politica. Il costume e i valori di riferimento, le relazioni sociali e le forme di rappresentanza e rappresentazione politica, le imprese e i mercati si allontanano sempre più dal modello con il quale li abbiamo identificati e vissuti fino a qualche tempo fa.
Il fenomeno si ripete ormai ciclicamente. Da alcuni decenni siamo ossessionati dal cambiamento: qualsiasi cosa o situazione acquista interesse se è nuova. Pare noioso indossare sempre lo stesso vestito o, peggio, dire sempre le stesse cose. Figuriamoci col cibo, o con l’auto.
Insomma, cambiare si deve. Vivere è cambiare. Non cambiare è lo stesso che morire. E nessuno vuole morire. Però non si tratta di cambiare ‘cose’, scelte o strumenti. Non è semplicemente l’emergere di nuove domande e la necessità di nuove risposte. Ciò che sta avvenendo è un cambio di paradigma. Paradigma che attiene anzitutto alle relazioni sociali, ma riguarda in profondità la cultura, l’economia e la politica. L’essere.
Con questo termine intendo il modello di riferimento e visione del mondo, quel complesso di significati e dinamiche relazionali, che concorrono alla formazione dei comportamenti individuali, alla configurazione dell’intenzionalità pratica e, alla fine, alla costruzione della coscienza della persona.
Cambiare paradigma implica allora modificare il proprio mondo personale che tende, almeno nelle nostre società avanzate, all’autoreferenzialità, al culto dell’io e al narcisismo (siamo infatti eredi della modernità, ovvero della lunga storia della costruzione dell’Io e della sua intronizzazione).
Pensare di affrontare i cambiamenti attraverso la riaffermazione della propria identità e l’imposizione del proprio modello culturale, con l’idea che siano sufficientemente forti da impedire o modificare il corso della storia, è utopia pura. È una sconfitta in partenza. Significa appunto, come dice la canzone, morire.
Bisogna dunque ridisegnare i riferimenti, magari con un po’ di fantasia. Vedere oltre. Sognare, anche. Ciò vale particolarmente per i molti politici che si dicono cattolici, e per i quali (ri)posizionare qualche punto di riferimento appare davvero necessario.
Occorre un nuovo paradigma nel senso di una nuova di percezione dell’Altro e degli altri, una nuova disponibilità a costruire relazioni, unito ad uno sguardo positivo verso il futuro. Da questo riferimento deve muovere una nuova proposta culturale, capace di innervare una coscienza sociale all’altezza delle sfide del presente, ritrovando i grandi motivi per la partecipazione, la progettazione e il servizio, e avendo come punti di partenza e di arrivo la persona e il bene comune. Il percorso privilegiato è certamente quello della formazione politica, ma essa inesorabilmente dovrà essere accompagnata dalla rinnovata capacità, un tempo tradizionalmente patrimonio del mondo cattolico, di tessere relazioni e di costruire legami: sinceri, ampi, profondi, duraturi. Non lasciare la comprensione e la gestione del cambiamento alla capacità e all’iniziativa dei singoli, insomma, ma all’azione certosina e operosa di una rete di persone capaci di ripensarsi e di maturare assieme. “La cambio io la vita che/che mi ha deluso più di te/portami al mare, fammi sognare/e dimmi che non vuoi morire...”.

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