Condiscepoli di Agostino
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Le molteplici forme di libidine

Una delle conseguenze, punitiva, del peccato originale, a detta di Agostino, fu la libidine, cioè un desiderio, un impulso interiore irrefrenabile, che rende l’uomo infelice, in quanto ogni atto di libidine lasciato sbrigliato dichiara all’uomo di essere incapace di autocontrollo...

Parole chiave: Sant'Agostino (175), Aforismi (46)

Una delle conseguenze, punitiva, del peccato originale, a detta di Agostino, fu la libidine, cioè un desiderio, un impulso interiore irrefrenabile, che rende l’uomo infelice, in quanto ogni atto di libidine lasciato sbrigliato dichiara all’uomo di essere incapace di autocontrollo: “Non vi è altra infelicità per l’uomo che la propria disobbedienza contro se stesso in modo che voglia ciò che non può, perché non volle ciò che poteva” (De civitate Dei 14,15.2). L’uomo, dunque, erede del peccato originale, prima del quale era in grado di dominare tutti i suoi istinti secondo ragione, è vittima di se stesso. Sotto l’urto violento delle passioni cede. Già gli antichi, precisa Agostino, riconoscevano un ventaglio di libidini: “Vi è la libidine di vendicarsi che si dice ira; c’è la libidine di possedere denaro, che si dice avarizia; c’è la libidine di vincere a qualsiasi costo, che si dice caparbietà; c’è la libidine di gloriarsi che si denomina ostensione. Sono molte e varie le libidini, di cui alcune non hanno nome, come la libidine di dominare” (Ivi). Potremmo noi oggi aggiungere: la libidine del successo, di fare una vita splendida e godereccia, di creare il mito di se stessi. Infine, osserva Agostino, c’è la libidine connessa con la sessualità. Anzi, precisa, quando si parla di libidine viene spontaneo riferirsi proprio a questa accezione: “Sebbene la libidine sia relativa a molti impulsi, quando si usa il termine, se non si aggiunge il tipo d’impulso, di solito si offre alla mente quello con cui sono eccitate le parti del corpo che esigono pudore… da cui deriva quel piacere che è il più stimolante dei piaceri sensibili” (De civitate Dei 14,16). E lo sapeva per esperienza. In piena adolescenza, a 15 anni, come narra nelle Confessioni, era travolto dalla libidine sessuale: “In quel sedicesimo anno della vita della mia carne, la lussuria sfrenata si impossessò di me” (Confessiones 2,4). Ad un certo punto si vergognò talmente di se stesso che, pur non essendo ancora battezzato, si rivolse a Dio perché lo liberasse da tale catena: “Nella mia misera adolescenza Ti avevo chiesto la castità e Ti avevo detto; ‘Dammi la castità e la continenza!’” (Confessiones 8,17). La sua era una petizione sincera. Desiderava essere liberato da quelle catene. Ma si sentiva ancora debole e da essa vincolato. Pertanto concluse la preghiera: “Dammi la castità e la continenza. Ma non ora!” (Ivi). E, con estrema sincerità: “Temevo infatti che Tu mi esaudissi subito e subito mi risanassi dal morbo della concupiscenza, che io invece volevo portare a compimento più che estinguere” (Ivi). Alla fine se ne libererà radicalmente. Anche grazie alle preghiere della madre Monica.

† Giuseppe Zenti
Vescovo emerito di Verona

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