Condiscepoli di Agostino
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La salvezza solo attraverso il Verbo di Dio

Agostino mette in evidenza la Persona mediante la quale ci viene offerta la possibilità di essere salvati, “il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte...

Parole chiave: Trinità (8), Sant'Agostino (175), Mons. Giuseppe Zenti (310), Vescovo di Verona (245)

Agostino mette in evidenza la Persona mediante la quale ci viene offerta la possibilità di essere salvati, “il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte, Lui che è Verità non mutevole. In Lui, come loro principio senza mutamento, sono tutte le cose, non solo quelle che sono ora in questa creazione universale, ma anche quelle che furono e che saranno. In realtà, in Lui non furono né saranno, ma soltanto sono; e tutte sono vita e tutte sono una sola cosa” (De Trin., IV, 1.3). La salvezza è stata attuata grazie all’incarnazione: “Per curare e risanare le menti, ‘il Verbo, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, si è fatto carne e pose la sua dimora in noi’” (De Trin., IV, 2.4). Ma il prezzo della salvezza è stato il sangue di Cristo, “il sangue di Cristo e l’umiltà di Dio” (Ivi). Il peccatore meritava la morte. Con la sua morte, espressione della sua “volontà di misericordia”, ci ha tolto la condanna (Cfr. Ivi). In tal modo, ha creato tra noi e Lui una sorta di armonia, in un rapporto tra Lui e noi di uno a due (Cfr. Ivi). Pensiero che sviluppa nel paragrafo successivo, nel quale appunto cerca di spiegare in che senso tra noi e Gesù Cristo, Signore e Salvatore, esista il rapporto di due a uno (Cfr. De Trin., IV, 3.5). Eccone la spiegazione: noi siamo morti nell’anima a causa del peccato, nel corpo come castigo del peccato. Queste due realtà necessitano di una medicina spirituale e di una risurrezione. L’anima risuscita grazie alla conversione. Il corpo invece “che è come l’uomo esteriore, quanto più è lunga questa vita presente, sempre più si corrompe per l’età, per la malattia, per varie afflizioni, finché pervenga all’ultima che da tutti è denominata morte” (Ivi). La sua risurrezione “è invece differita fino alla fine, quando anche la nostra giustificazione sarà compiuta in maniera ineffabile” (Ivi). Di conseguenza, “il nostro Salvatore per le nostre due morti spese la sua unica e per fare le nostre due risurrezioni prepose e propose come sacramento ed esempio l’unica sua… Rivestito di carne mortale, non morendo che per essa, non risuscitando che per essa, per essa sola si mise in armonia con noi per la morte e la risurrezione, facendosi in essa sacramento dell’uomo interiore ed esempio di quello esteriore” (De Trin., IV, 3.6). E conclude il suo pensiero, fondandolo su una importante citazione della lettera ai Filippesi: “‘Trasformerà il corpo della nostra umiliazione, rendendolo simile al corpo della sua gloria’ (Fil 3,21). Di conseguenza, l’unica morte del nostro Salvatore è stata di salvezza alle due morti. E la sola sua risurrezione ha donato a noi due risurrezioni, quando “il suo corpo fu servito in entrambe le cose, cioè sia nella morte sia nella risurrezione, sia come sacramento del nostro uomo interiore sia come esempio dell’uomo esteriore per una certa medicinale convenienza” (Ivi). Agostino infine contempla il mistero della redenzione in Cristo: “Questo sacramento, questo sacrificio, questo sacerdote, questo Dio, prima che venisse in forza dell’essere mandato, fatto da una donna, apparve in modalità sacre e mistiche ai nostri Padri, mediante i prodigi angelici… Poiché, infatti, ci eravamo allontanati dal solo Dio sommo e vero a causa dell’iniquità dell’empietà, allontanandoci da Lui e opponendoci, ci eravamo dispersi in molte cose, divisi tra noi in molte cose e ad esse attaccati, era necessario che al cenno e al comando di Dio misericordioso nella loro moltitudine fossero una invocazione alla venuta di Uno; e da molti invocato venisse l’Uno… e noi amassimo quest’Uno, morto per noi nella carne senza peccato… credendo in Lui fossimo giustificati diventando una sola cosa nell’unico Giusto… e reintegrati in futuro per mezzo della visione, riconciliati con Dio per la sua funzione di mediatore, aderiamo all’Uno, fruiamo dell’Uno, permaniamo l’Uno” (De Trin., IV, 7.11).

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