Commento al Vangelo domenicale
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Il Signore ci incontra dentro le nostre fatiche

Il Signore, in tutta la sua umanità, soffre per l’unico figlio di una donna, morto prematuramente, lasciandola sola nel suo dolore immenso. Non riesce a fare a meno di commuoversi, di sentire il bisogno di sollevare questa povera madre e di ridarle la forza di vivere...

Il Signore, in tutta la sua umanità, soffre per l’unico figlio di una donna, morto prematuramente, lasciandola sola nel suo dolore immenso. Non riesce a fare a meno di commuoversi, di sentire il bisogno di sollevare questa povera madre e di ridarle la forza di vivere. Un gesto inaspettato per tutti i presenti, per i suoi discepoli e per la folla che lo circonda. Un gesto che Gesù compie non per il desiderio di dimostrare la potenza, la forza di Dio, ma piuttosto la vicinanza, l’amore del Padre per i suoi figli e in particolare per quelli che sono nella sofferenza, nell’angoscia. Nessuno chiede al Signore di compiere questo miracolo; l’iniziativa è sua, parte da un cuore che si spezza davanti all’uomo che soffre. È un Signore presente in mezzo a noi, un Signore che si accorge, che si lascia coinvolgere dalla nostra vita, che si pone a fianco nel nostro cammino. L’evangelista infatti ci racconta che Gesù cammina, con i suoi discepoli e tanta gente. Egli percorre le nostre strade, con il nostro passo. Ho qui di fronte a me, proprio in questo momento, un gruppo di giovani in cammino, alla ricerca del Signore. La preghiera che scaturisce dal mio cuore è quella che essi possano sentire la presenza del Signore nel loro cammino di vita, che possano gustare la forza della Sua presenza, la ricchezza della grazia di un cuore capace di affidarsi. I dubbi sono tanti, le incertezze nella fede sono sempre presenti, la fatica del quotidiano costante. Le occasioni di sofferenza fanno parte della vita di ogni giorno, dell’esperienza di ogni persona inserita nel mondo. La certezza della vicinanza di Dio nella nostra esistenza è una dimensione che talvolta fatichiamo a comprendere, ad accogliere e a rendere fondamento del nostro agire. Il Signore ci accoglie nella fragilità e in questo ritroviamo la “vulnerabilità” di Dio, che non rimane indifferente, che ha compassione, misericordia. Nel suo farsi carne, il Verbo ha scelto di accogliere la debolezza, di incontrarci dentro le nostre fatiche. La sua vita diventa, per noi cibo inesauribile, la nostra esistenza viene valorizzata, la nostra sofferenza diviene la sua, la nostra incapacità viene da lui accolta, i nostri dubbi trovano in Lui la risposta. Ecco perché Gesù non può restare indifferente di fronte alla mamma in pianto: “Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». La madre non ha chiesto nulla: il sentimento che spinge Gesù è la compassione e prescinde da ogni valutazione di merito. Chi è quella donna? Cosa ha fatto per meritarsi un simile miracolo? Di fronte al dolore,  Gesù si muove in maniera gratuita e rigenerante: «Ragazzo, dico a te, alzati!». La parola di Gesù è salvezza e nasce non grazie al merito delle nostre azioni, ma solo per intervento gratuito di Gesù, che “visita” il suo popolo, cioè si fa vigile e si preoccupa; Egli veglia sull’uomo e si fa carico delle sue sofferenze.
Vi è un secondo tema di riflessione che accompagna questa decima domenica del tempo ordinario, che si evidenzia in maniera chiara andando a fare un parallelo tra la prima lettura di oggi (1 Re17,17-24) e il Vangelo. Anche il profeta Elia ridona alla vedova il figlio morto, ma per riuscire in questo miracolo deve rivolgersi all’unico che può ridare la vita, Dio: “Signore Dio mio, l’anima del fanciullo ritorni al suo corpo” (v. 21). Il profeta è un mediatore: diverso è per Gesù, che senza rivolgersi al Padre, in maniera perentoria parla al giovane dicendo: «…alzati». Gesù, il Figlio che dà la vita, è la manifestazione di Dio in mezzo agli uomini, una visita reale e fraterna, fino all’assunzione delle nostre fatiche e dei nostri dolori. Gesù dona vita alla nostra carne mortale, innestando il germe della risurrezione. Ecco perché questa domenica potrebbe essere definita “pasquale”, e quindi un’esortazione per tutti noi a vincere la paura della morte, della solitudine, della notte. L’uomo troppo spesso cerca in beni effimeri la soluzione al buio che vive dentro: droghe, feste, viaggi, beni, nulla può risolvere l’angoscia della solitudine interiore. Non esistono surrogati che riempiono il vuoto esistenziale. Il Signore è colui che prende l’iniziativa, che si accorge della notte che opprime il nostro cuore e che si commuove di fronte alla nostra sofferenza. Lasciamoci avvolgere dalla Sua tenerezza, perché “giungiamo ad essere pienamente umani quando siamo più che umani, quando permettiamo a Dio di condurci al di là di noi stessi perché raggiungiamo il nostro essere più vero” (Papa Francesco, Evangelii gaudium, n. 8).

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