Commento al Vangelo domenicale
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Gesù, profeta potente in parole e in opere

4 domenica del Tempo ordinario (anno B)
Marco 1,21-28

In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!».
La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

Parole chiave: Vangelo (416), Domenica (56), Liturgia (14), Parola (13), Don Adelino Campedelli (78)
Gesù, profeta potente  in parole e in opere

Il brano di Vangelo di oggi, immediatamente successivo alla chiamata dei primi discepoli sulla quale ci siamo soffermati la scorsa domenica, fa parte della cosiddetta “settimana inaugurale” di Cafarnao, la città sulla riva nord del lago di Tiberiade, dove Marco, attraverso episodi di predicazione, di azioni miracolose e di preghiera espone il manifesto programmatico della missione di Gesù.
Già le prime parole e i primi gesti di Gesù rivelano il mistero del suo essere. Gesù, pur sprovvisto di titoli ufficiali, si comporta come il profeta annunciato da Mosè (vedi prima lettura di oggi), anche se è superiore a Mosè; la santità di Dio non si manifesta più nel fuoco incandescente e intangibile o nella solennità del tempio, ma nel farsi prossimo di Gesù, che espelle il male e l’esorcismo è parte integrante del suo ministero. In Gesù la manifestazione di Dio diventa quotidiana, quasi feriale, perché abita nei luoghi pubblici e privati della gente comune (la sinagoga, le porte della città, le case), raggiungendo le persone più marginali, come malati e ossessi.
C’è un punto fondamentale nel nostro racconto, che a prima vista può sembrare strano, ed è l’uso della parola insegnare; come capiterà in altre occasioni in cui viene usato questo verbo, non è poi riportato un insegnamento verbale da parte di Gesù, perciò si tratta di un altro insegnamento, unico, speciale, tanto convincente da suscitare l’ammirazione degli ascoltatori che riconoscono in lui la capacità di insegnare con autorità e non come i rabbini e i dottori della legge che si limitavano a riproporre gli insegnamenti di maestri illustri e da questi mutuavano l’autorevolezza del loro insegnamento.
In Gesù il messaggio si identifica con il suo essere, con la sua persona, perché il messaggio è lui stesso, non le sue parole ma la sua persona, che è la Parola di Dio fatta “carne”; il suo “stile”, le sue azioni, il suo modo di comportarsi è il Vangelo: il cristiano non aderisce ad una teoria ma è chiamato ad incontrare la persona-Gesù e da lui è invitato a cogliere il senso e il comportamento per la propria vita.
Questa autorità con cui insegna Gesù è manifestazione della sua libertà, parla di un Dio di libertà, contro chi cerca di costringere Dio negli schemi ristretti della proprie interessate convinzioni (è chiara la polemica contro tutti i maestri della Legge di ieri e di oggi).
E nella sinagoga Gesù compie il primo miracolo a lui attribuito dall’evangelista Marco: un esorcismo, cioè la cacciata del demonio da un uomo che ne era posseduto. È importante contestualizzare il concetto di malattia e di possessione diabolica, così come era percepita al tempo di Gesù. Intanto il testo dice che subito appare un uomo posseduto da uno spirito impuro: non si tratta di impurità fisica o sessuale, ma di ciò che si oppone alla santità e che relega l’uomo nella perdizione. Male fisico e male morale venivano normalmente identificati; malattie psicofisiche come mania, pazzia, epilessia o depressioni venivano attribuite ad una presenza estranea, cioè diabolica.
Ora questa diversa autorità che Gesù mostrava nel suo insegnamento, dava fastidio a quell’uomo che era lì in sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, che, come tutti gli spiriti immondi, nella Bibbia lottano contro l’umanità delle persone, privandole dell’ordine interiore che fa vivere in armonia con se stesse, con Dio e con gli altri. E il demonio che si era impadronito di quell’uomo, non sopportando la presenza di Gesù, si manifesta rivelando il grande mistero della religione di Israele: Gesù era il Santo di Dio. Il demonio lo sapeva proprio perché la santità che abitava in Gesù era schierata contro la sua opera perversa a danno della persona posseduta.
L’autorità di Gesù si è espressa sul demonio e questi ha obbedito. La signoria di Gesù ha trovato conferma di fronte ai suoi ascoltatori, mostrando come la santità, che appartiene solo a Dio, stesse con lui ed il popolo poteva ormai contemplare con speranza Gesù: in esso la santità divina aveva preso ad abitare fra loro per sempre e non se ne sarebbe più allontanata.
La presenza del male, contro cui Gesù esercita il suo potere divino nella sinagoga di Cafarnao, è un problema anche per noi; in una cultura in cui si tende spesso a deresponsabilizzare l’agire delle persone o ad avallare comportamenti discutibili dal punto di vista morale, quando non apertamente negativi, trova spazio una difficoltà particolare a dare un nome preciso al male e al peccato e a riconoscere le proprie responsabilità nell’agire.
Non è ignorando o nascondendo il male e il peccato che si risolve il problema della dimensione negativa della nostra vita, ma nell’affrontarlo vincendolo, appoggiati alla forza e alla grazia del Signore Gesù, come avviene nella sinagoga di Cafarnao.

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