«Lo Stato la smetta con le minestrine: la famiglia ha bisogno di “bistecche”»
di ADRIANA VALLISARI
Bordignon (Forum Famiglie): «Servono misure che diano una spinta importante»

di ADRIANA VALLISARI
«Nessuno pensa di mettere al mondo un figlio perché gli viene dato un bonus per un anno: le famiglie non hanno bisogno di mancette, ma di politiche generose». Quando si parla di azioni di sostegno concrete, il trevigiano Adriano Bordignon (nella foto sopra), presidente del Forum nazionale delle associazioni familiari, è un fiume in piena. «È da tempo che il Forum e le organizzazioni che ne fanno parte pongono la questione fiscale ed economica come strategiche per concorrere alla generatività della famiglia – aggiunge –. Partiamo però con un peccato originale enorme: l’Italia ha prodotto nella sua storia pochissime politiche familiari». Una scelta miope, specie alla luce dei dati sulla denatalità, «che accompagna tutti i Paesi del benessere, ma l’Italia sta peggio in Europa».
Il Forum è impegnato a ricordare a Regione e Governo che occorre investire di più su questo fronte. «Siamo arrivati a dire questo: se non avete pensato di investire sulla famiglia come soggetto che genera capitale sociale e beni relazionali, almeno fatelo perché il sistema-Paese possa reggere – spiega –. I riflessi della denatalità sul sistema sanitario, previdenziale, scolastico, sulla competitività delle nostre imprese e sul livello degli occupabili, unite ai giovani, anche veneti, che lasciano il nostro territorio, diventeranno troppo significativi e avremo bisogni sanitari e previdenziali crescenti con una popolazione attiva e che paga le tasse calante». Gli investimenti per le politiche familiari richiedono uno sforzo di lungimiranza.
«Bisogna intervenire non con brodini ristoratori, ma con delle bistecche: servono misure che diano una ricarica importante – aggiunge Bordignon –. Per questo il Forum insiste a tutti i livelli nel ribadire che la questione famiglia e natalità è la questione strutturale per il presente e il futuro del Paese: è il momento di passare dalle chiacchiere e dall’analisi alla scelta politica di metterla davanti ad altre questioni. Non si possono fare politiche familiari con i resti del bilancio, se avanza: da un rilancio della natalità, oggi assai complesso, può ripartire una possibilità per il nostro Paese, altrimenti – ce lo dicono i demografi – il futuro è segnato». Cosa occorre, allora? «Servono politiche che non siano dei bonus estemporanei, ma strutturali per alimentare la speranza e il desiderio di protagonismo delle famiglie – elenca –. Uno dei grandi problemi che abbiamo è di confondere le politiche familiari con le politiche contro la povertà. Invece la famiglia è il luogo dove si stimola la partecipazione, si sostiene il civismo, l’amore per la comunità, persino l’attività di impresa: in Veneto, più che in altre regioni, la maggioranza delle imprese sono a conduzione o a controllo familiare».
È dalla metà degli anni Novanta che si parla di fiscalità a misura delle famiglie, rispettosa dell’art. 53 della Costituzione, che definisce l’equità orizzontale: significa, in parole semplici, che un single deve pagare più tasse di chi ha dei figli. «Siamo ancora in attesa dell’attuazione di questa parte: il Governo in campagna elettorale aveva parlato di “quoziente famiglia”, ma che si parli di questo o di Fattore famiglia anche fiscale, o dello splitting alla tedesca, nel quale si sceglie tra detrazioni o assegno, a noi poco interessa; ci interessa invece che ci si avvicini a un fisco più attento alle famiglie, per questioni di equità. Ogni euro speso sulla famiglia e sulla natalità non è costo, ma un investimento: è quello che permetterà oggi, domani e dopodomani all’Italia di avere una sostenibilità su asset strategici».
Oltre alla questione fiscale, ci sono poi i trasferimenti economici. Quindi l’assegno unico. «Pur con le sue magagne, rappresenta la prima politica strutturale per le famiglie: è stato approvato dal nostro Parlamento senza nessun voto contrario, ma va sostenuto e rilanciato – sottolinea –. È monco in alcune parti e non svolge pienamente le sue funzioni, soprattutto per i giovani: faceva parte di un pacchetto “Family act” che doveva prevedere delle politiche capacitanti, che ancora non ci sono, per i giovani che permangono troppo a lungo nelle case di origine e sono capaci di raggiungere l’autonomia mediamente 4 anni dopo i loro coetanei europei». Ci sono poi altre due questioni che qualificano la vita delle famiglie, snocciola Bordignon. «La capacità delle donne di contribuire in modo adeguato al mondo del lavoro oggi è insufficiente: conciliare lavoro e cura familiare per loro è più difficile, tanto che sono costrette a lasciare il lavoro se la situazione si complica; inoltre, l’offerta di servizi territoriali, dagli asili nido alle scuole per l’infanzia, se in Veneto ha un livello di adeguatezza, in giro per l’Italia è assai carente», conclude.
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