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Anderloni: «Piazza dei Signori si chiami Piazza Dante»

Con un canto la proposta ai cittadini e alle cittadine di Verona di cambiare il nome in occasione dell’anniversario dei settecento anni dalla morte del sommo Poeta

Parole chiave: Dante (26), Verona (222), Anderloni (12)
Anderloni: «Piazza dei Signori si chiami Piazza Dante»

Con questo canto propongo ai cittadini e alle cittadine di Verona di cambiare nel 2021 il nome di Piazza dei Signori in Piazza Dante in occasione dell’anniversario dei settecento anni dalla sua morte. 

«Perché con viso torvo, o fiorentino,
dall’alto del marmoreo piedistallo,
rimiri il fu palazzo ghibellino?

V’è forse in te il rimproverar d’un fallo?
Ancor sei corrucciato col Signore
seduto in groppa all’algido cavallo,

da cui, per non sentirti debitore,
partisti da Verona per il marea
consumare l’ultime tue ore?»

Così diss’io, trovandomi a osservare
il volto disdegnoso del Poeta.
Ed ei che m’ebbe udito dubitare:

«Non sono irato», disse a voce queta,
«ma rassegnato a tanta indifferenza
che dovrebb’esser nota e par segreta».

E qui parve guardar, sanz’indulgenza,
di fronte a sé l’angusto vicoletto
che causa io credei di sua sentenza.

Allor mi volsi verso il pertugetto
che dalla piazza detta “dei Signori”
a quella “delle Poste” va diretto.

E come alzai lo sguardo tra i due fori,
m’apparve innanzi agli occhi un’iscrizione
che tra i mattoni e ’l marmo sporgea fuori.

Pensai che fosse quella la cagione
del borbottar sommesso, quando lessi
quel nome, a cui si deve devozione,

storpiato da color che, forse fessi,
con ridondanza scrissero Allighieri
invece che Alighieri. Ahimé, che dessi!

I’ cominciai: «Poeta, volontieri
dimanderò al consiglio cittadino
che mondi quell’error per cui disperi».

Ed elli a me, con sdegno saturnino:
«Non è uno strafalcione, come crede
ch’io sia adirato con lo scalpellino».

Io stava come quei ch’apparir vedes
ull’altrui volto un ghigno risentito
e pensa e non capisce che succede.

Quand’ecco dal mio orecchio fu avvertito
un chiacchierar stranito e petulante.
Mi volsi e vidi un tale che col dito

schiacciando un mattoncino, delirante
parlava con se stesso. E mi fu udito:
«Son qua. T’aspetto. Vieni in Piazza Dante».

Qual è colui che postogli un quesito
non trova, pur pensando, soluzione
e tosto che la trova n’è colpito,

tal era io, risolta la questione
del volto che poc’anzi s’abbruniva.
Perciò ricominciai, con decisione:

«Poeta la cui fama è ancora viva,
ora ho capito ciò che ti tormenta
e sanz’indugio prendo iniziativa».

Allor con quell’ardor che il cuore imprenta,
mi misi a verseggiare questo canto
che giunge a te lettor, ché tu lo senta.

Ne la città che gli fu cara quanto
la sua Fiorenza da cui fu bandito,
la nota piazza, di cui egli è il vanto

pe ’l monumento dove fu scolpito,
perché ai signori è stata intitolata
e invece a lui quel vicolo scipito?

I veronesi l’hanno battezzata
con il suo nome, non con quell’altrui,
e con quel nome l’hanno sempre amata.

Per onorar la gloria di colui
che qui a Verona scrisse le terzine
così che l’eternò co’ versi sui,

propongo, o cittadini e cittadine,
la Piazza dei Signori detta innante
nel centenario dall’umana fine

si chiami d’ora innanzi Piazza Dante.

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