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«Sono proprio contento di essere diventato un sacerdote!»

di LUCA PASSARINI
Don Cristian Tosi e una vocazione precoce e felice

«Sono proprio contento di essere diventato un sacerdote!»

di LUCA PASSARINI
«Sono proprio contento di essere prete!», sottolinea don Cristian Tosi, 37 anni ancora da compiere. Nato e cresciuto a Tregnago, ha avuto un importante e costante punto di riferimento nella famiglia di origine. 
Da sempre amante dello sport, da ragazzino primeggiava nel karate e, animato da grande passione, sognava di aprire negli anni una sua palestra. Affascinato però dall’esperienza del Seminario minore, scoperto in una visita con la parrocchia, è entrato a farne parte già in prima media: «Sono stati anni belli, perché abbiamo vissuto occasioni speciali e perché la vita di comunità ti fa crescere molto, dal momento che non ti lascia in pace mai, ma continuamente ti porta a fare i conti con le tue emozioni (comprese rabbia e paura, disagio e dolore) e a imparare a integrarle in atteggiamenti maturi; ti interpella nella capacità di dialogo, nella gestione di situazioni sempre diverse, nella risoluzione dei problemi, nel rimanere dentro tensioni e crisi». 
Una proposta di crescita costante sul piano umano e su quello spirituale, garantita secondo don Cristian dalla preghiera comunitaria, dallo stile di servizio, dall’accompagnamento e dall’aiuto degli educatori, dentro cui intuire anche come Gesù pensava e coglieva le emozioni, si approcciava alle persone e viveva le relazioni. 
«Un momento importante – ci spiega – è stato in quarta superiore. Stavamo vivendo un’esperienza particolare come era la settimana vocazionale, durante la quale eravamo presenti in una parrocchia per fare un po’ di animazione e testimonianza. Ho gustato soprattutto la bellezza e la profondità della vita comunitaria e della condivisione semplice con le persone, incontrate negli appuntamenti organizzati, ma soprattutto nella visita alle case e alle famiglie». 
In tutto questo ha intuito che la fede dona la possibilità di un modo diverso di vedere le persone e la realtà: «Nel Signore ci è data l’opportunità di non essere bloccati in uno sguardo autocentrato, basato su se stessi, su cosa piace, su cosa fa star bene, su dove si vuole andare; ma di accoglierne uno davvero secondo il Vangelo. È quello che gli evangelisti fanno emergere in particolare utilizzando due verbi greci: orao e skopèo. Ci è donata la possibilità di uno sguardo che contempla ciò che il Signore fa nella vita delle persone, sfuggendo alla preoccupazione unica di quello che faccio io, e che vede secondo un obiettivo: ovvero l’avanzare del suo Regno». 
L’aver fatto proprio questo nuovo sguardo, lo ha portato a interrogarsi e poi a intraprendere il percorso del Seminario maggiore, con il desiderio forte di consacrarsi per il ministero presbiterale. «Quando è stato il tempo del rito di ammissione – continua – ho sentito il desiderio di un tempo e un’occasione speciale per ri-tararmi maggiormente nella mia relazione con il Signore e nel cammino vocazionale, oltre che per tornare all’essenzialità. Con gli educatori avevo pensato che tutto questo potesse trovare concretezza in anno di esperienza missionaria in Brasile. Era tutto già organizzato, quando ho dovuto fare i conti con l’insorgere di una malattia che mi ha portato a vivere 20 giorni tra letto e carrozzina, senza sapere se avrei potuto recuperare l’uso delle gambe. La serenità provata in quelle settimane, percependo la presenza di Dio, mi ha permesso di recuperare le giuste priorità e ha portato a riconoscere che non c’era più bisogno di un’esperienza differente». 
Tutto questo ha coinciso anche con gli anni di fine pontificato di san Giovanni Paolo II, con le sue parole e la sua testimonianza nella malattia, a cui si sono aggiunti per don Cristian pure l’esempio di tante persone anziane che portavano con dignità i problemi della vita, la vedovanza, la fatica. «L’essere una persona che porta avanti con dignità la propria esistenza e missione – sottolinea don Tosi – è ciò che si può contemplare in Gesù e in Maria e ciò che sento importante anche per me, perché non vuol dire essere perfetti, ma collocarsi in maniera giusta rispetto a Dio e agli altri, presentando tutto al Signore, conquiste e difficoltà». 
Il cammino formativo lo ha portato all’ordinazione presbiterale avvenuta nel 2009 e alle prime esperienze in parrocchia. Ci dice don Cristian: «Mi accorgo che, anche nel ministero, mi porto avanti quello sguardo che ho intuito e fatto mio da adolescente: è quello che oggi mi porta a gioire notando le meraviglie che il Signore compie con le persone; a festeggiare nel giorno del matrimonio per un “sì” che è dentro una storia di salvezza; a lodare pure nel momento delle esequie perché ti permette di non fermarti alle sofferenze, ma di contemplare ciò che Dio ha compiuto nella vita del defunto». 
Tutto questo è anche lo stile con cui guida la comunità cristiana di Vago, di cui è parroco dal 2016, che desidera sia «cristocentrica e non pandemio-centrica: ovvero che sappia riconoscere l’opera del Signore, che sappia trovare anche nel limite un’occasione, che non si faccia bloccare dalla delusione, ma che sappia sempre tirar fuori qualcosa in più, che sappia testimoniare e far gustare la bellezza della vita fraterna e quindi anche intuire qualcosa dell’amore di Dio». 
Significativi, nel suo modo di essere prete oggi, sono stati anche gli studi recenti che lo hanno portato alla licenza in Teologia spirituale a Milano: «In particolare mi sono lasciato affascinare da come i primi dottori della Chiesa erano anche pastori: era gente fedele all’insegnamento della Chiesa, che non ne barattava i contenuti e che girava per le piazze e i mercati. Sono stati una testimonianza e un insegnamento importante di un equilibrio fondamentale e non semplice: siamo chiamati a non essere staccati dai luoghi esistenziali, magari per paura di essere contaminati; ma ad abitarli senza però dall’altra parte confondersi, perdere il riferimento al Signore o al guardare a tutto in ordine al Regno dei cieli».  Da qui il desiderio per don Cristian di farsi presente sui luoghi di lavoro e nelle case, così come condividere momenti sociali o sportivi con le persone, nella disponibilità ad essere un dono e un’opportunità pure per il loro cammino umano e di fede. 

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