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La luce della nuova Vita nel tempo delle tenebre

Un Natale cristiano per un futuro di speranza

Palma il Giovane, Adorazione dei pastori, chiesa dei Santi Nazaro e Celso, Verona

Mai come quest’anno abbiamo guardato al Natale come ad un momento di rinascita collettiva, di speranza dopo mesi difficilissimi che hanno provato l’intera comunità mondiale e hanno falcidiato la generazione “che ha visto la guerra”. Queste feste arrivano nel tempo in cui in tutto il mondo iniziano le vaccinazioni per proteggerci dal Coronavirus: speriamo che sia la svolta. Ma questo 2020 che va ad esaurirsi senza rimpianti, ha pure visto di che (ottima) pasta sia fatto l’uomo, nel momento della difficoltà e del bisogno. Si sono moltiplicate le azioni di solidarietà, l’impegno di chi stava meglio verso chi si trovava nella sofferenza, un collettivo fronte comune verso le avversità che hanno cancellato sentimenti, posti di lavoro, spazi di vita. L’arrivo del Bambino ci stimola a continuare sulla strada giusta, illuminata dal suo sorriso di speranza.

Verona Fedele augura a tutti i lettori buon Natale e un sereno anno nuovo, si prende una settimana di riposo e dà loro appuntamento nelle case, nelle parrocchie e nelle edicole domenica 10 gennaio con il prossimo numero

Fermarsi in silenzio a contemplare ricercando la giusta distanza
L’Adorazione dei pastori, di Palma il Giovane, nella chiesa cittadina di San Nazaro

“Una madre che osserva il proprio bambino mentre dorme. È un’esperienza singolare. Se capita di assistere ad una scena simile, la reazione spesso è unica e semplice: ci si ferma in silenzio a contemplare, ricercando la giusta distanza per non disturbare un dialogo senza parole ma intessuto d’amore, e nello stesso tempo per poter partecipare di un’atmosfera carica di serenità, tenerezza e pace. Si tratta di un momento nel quale l’uomo riconosce un’esperienza che lo accomuna a qualsiasi altro uomo e si accosta ad essa con profondo rispetto per comprendere con la mente e con il cuore il mistero che si cela dietro il legame tra una madre ed un figlio. L’esperienza appena descritta, ovviamente, va vissuta in prima persona e può risultare difficile pensare che possa essere mediata da un’opera d’arte” (Riccardo Fantoni). Così scriveva qualche anno fa un giovane papà, studente dell’Issr, nel suo commento di un dipinto per un suo elaborato per l’esame di Mariologia.
In effetti, guardando questo dettaglio del bel quadro dell’Adorazione dei pastori di Jacopo Negretti, detto Palma il Giovane (Venezia, 1544-1628), sembra proprio che voglia insegnarci a trovare la giusta distanza per contemplare il mistero della Natività.
Questo artista fu uno dei più importanti pittori del suo tempo: ispiratosi a Tiziano, Veronese e Tintoretto, assunse incarichi prestigiosi, quali per esempio la decorazione di Palazzo Ducale a Venezia e per altre chiese e palazzi della città lagunare. Queste commissioni gli permisero di sviluppare un particolare talento per la realizzazione di scene religiose, raccontate in conformità ai dettami del Concilio di Trento: fedeltà ai testi evangelici e alla tradizione, chiarezza didascalica, semplicità dei temi, riferimenti simbolici efficaci e sintetici.
È per queste ragioni che, nel 1601, Palma il Giovane ricevette l’incarico da parte della “Compagnia della Vergine” di Verona per la decorazione di una cappella dedicata a Maria, nella chiesa dei Santi Nazaro e Celso. Le scene hanno Maria come protagonista in quattro episodi dei Vangeli dell’Infanzia (Adorazione dei pastori, Adorazione dei Magi, Circoncisione, Presentazione di Gesù al tempio): questa scelta permetteva di esaltare la maternità di Maria e la sua stretta associazione con il Figlio.
Pertanto, in ossequio agli orientamenti della Controriforma, questa scelta iconografica metteva in evidenza la Madonna, in quanto madre di Gesù, ed il suo ruolo fondamentale nel mistero della Redenzione. Ecco dunque che l’occhio di chi contempla questi bei dipinti viene subito attratto dalla bella figura di Maria sempre collocata in posizione rilevante rispetto all’insieme della composizione. Il pittore ha poi aggiunto in ogni scena degli elementi simbolici che alludevano ai sacramenti, alle litanie o alla celebrazione liturgica.
Nell’Adorazione dei pastori (Luca 2, 8-20), Palma si inserisce nell’iconografia tradizionale ed ambienta la scena in un luogo povero, in cui si vedono costruzioni in rovina, dalle quali nascono nuovi germogli: sappiamo che le rovine sono il simbolo di un mondo distrutto, che la venuta di Cristo viene a restaurare, e che le piante alludono alla vita che rinasce.
In basso, non visibili in questo dettaglio, si trovano dei pezzi di legno tagliati e secchi: sono il simbolo del “legno della vita” per eccellenza, vale a dire della croce. Del resto, la morte di Cristo, fonte della redenzione, viene spesso segnalata profeticamente nelle Natività (es. assi incrociate della culla): nel nostro caso, una allusione alla Pasqua è costituita anche dal telo bianco con cui è avvolto il piccolo Gesù bambino, che rappresenta non solo le fasce di Betlemme ma anche il lenzuolo funebre del sepolcro e la tovaglia rituale dell’altare.
Il particolare centrale di questa pala ci invita a riflettere e a ripensare alla relazione Madre-Figlio che si presenta attraverso un gesto di accoglienza, uno sguardo e tanto silenzio avvicinandosi con lo stesso rispetto e la stessa attenzione di queste figure che stanno intorno. La scena è attraversata da una luce che fa emergere un insieme di morbide sfumature di colore, che interpretano altrettante sfumature psicologiche e spirituali.
Ricordiamo che l’opera è stata realizzata non tanto per abbellire i muri della cappella, quanto piuttosto per evangelizzare, per accompagnare la celebrazione, per suscitare il desiderio di entrare nel mistero di questa relazione. In special modo ci parlano le mani di questi personaggi: sono mani che esprimono cura (Giuseppe), preghiera (la donna), stupore (un pastore) e lavoro e riposo (un altro pastore col bastone).
Fermarsi in silenzio a contemplare, ricercando la giusta distanza... Davanti a questo dipinto, in questo Santo Natale 2020, possiamo allora chiedere al Signore, che le nostre mani sappiano assumere lo stile della cura, della preghiera, dello stupore del lavoro e del riposo. Porci davanti a quest’opera d’arte per contemplare ci impegna a fermarci: richiede presenza, tempo, ascolto... come lo richiede l’avvenimento che celebriamo ogni anno il 25 dicembre.
A partire da questa contemplazione del Bambino di Betlemme, auguriamoci davvero di “saper riaprire gli occhi, per crescere umanamente e diventare persone più sensibili, più vigilanti, più capaci di guardare a fondo la vita al di là delle apparenze, vincendo quella cecità che può diventare anche sordità, disaffezione, supponenza, isolamento, autoreferenzialità, pigrizia, apatia, mancato interesse per il mondo e per gli altri, nausea… Forse, intensificando il nostro sguardo, registreremmo meno aggressioni negli stadi o meno liti per un parcheggio. Forse diventeremmo più solidali, più rispettosi, capaci di guardare con pietà il mondo che ci circonda, di riconoscere i bisogni degli altri, e perfino di guardarci negli occhi” (Laura De Luca).
Antonio Scattolini

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