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Gli Amici senza barriere fanno 50

Mezzo secolo di impegno per l'associazione che opera a favore della disabilità

Parole chiave: Amici senza barriere (2), Solidarietà (68), Associazioni (15), Volontariato (88), Disabilità (40)
Gli Amici senza barriere fanno 50

Da mezzo secolo dicono ad alta voce che la diversità non deve trasformarsi in disuguaglianza. Compie 50 anni l’associazione Amici senza barriere – Daniela Zamboni , una onlus tra le più longeve del panorama veronese, in quanto a impegno a fianco delle persone con disabilità.

Ne ha fatta di strada l’associazione, da quando è nata all’ombra della chiesa dei santi Nazaro e Celso. Era il 1968 e in parrocchia un gruppo spontaneo composto da una ventina di volontari (spronati dal curato di allora, don Gianfranco Salamandra) decise di avviare l’attività. «Dobbiamo pensare che a quei tempi la disabilità era considerata quasi come uno stigma dalla società: le famiglie tenevano nascosti i figli disabili, spesso se ne vergognavano», osserva la presidente Maria Chiara Tezza. La cerchia di volontari iniziò così a fare visite nelle case e, pian piano, passò alle passeggiate pomeridiane, fino alle gite di un giorno, offrendo occasioni di svago e sollievo.

L’attenzione si concentrò fin da subito sugli spastici, ovvero persone affette da disabilità motoria e talvolta anche intellettiva, a seguito di paralisi cerebrali e cerebrolesioni. «In origine l’associazione si chiamava proprio “Amici degli spastici”, ma il termine negli anni ha assunto via via una connotazione d’uso negativa, quasi dispregiativa – chiarisce Tezza –. Così nel 2004 abbiamo scelto di cambiare il nostro nome, trasformandolo in “Amici senza barriere”: una variazione linguistica che però non ha modificato il cuore della nostra realtà, sempre in prima fila nel riconoscimento dei diritti di queste persone». Dal 1982, inoltre, nell’intestazione della onlus compare il nome di Daniela Faggionato Zamboni, moglie dell’allora presidente, Massimo Zamboni. Colpita da un tumore, la donna morì all’età di 31 anni in seguito a un cesareo d’urgenza, eseguito per salvare la vita al figlio che portava in grembo.

Rimuovere gli ostacoli all’inclusione delle persone con disabilità è la missione che, ieri come oggi, contraddistingue l’associazione. Perché, nonostante siano passati cinque decenni, ci sono ancora tante barriere che intralciano la strada ai disabili e ne impediscono un pieno inserimento sociale. «E non si tratta solo delle barriere architettoniche – constata la presidente –. A pesare di più sono le barriere culturali, le chiusure e i pregiudizi, che portano soltanto disagio ed emarginazione».

Gli Amici contribuiscono a smantellarle. Sono instancabili nel promuovere il rispetto della persona e nell’organizzare attività che ne valorizzino l’autonomia e l’indipendenza. Ogni domenica, da ottobre a giugno, ben quaranta volontari si prendono cura di una trentina di persone con disabilità di età diverse, dai 25 ai 70 anni. «Durante la settimana lavorano, frequentano i centri diurni oppure, nel caso di quelli più anziani, si trovano in una struttura di accoglienza – spiegano dalla sede di lungadige Catena, al civico 7 –. Li intratteniamo con attività ricreative nei nostri spazi e pure all’esterno, organizzando gite e visite culturali».

Un fiore all’occhiello, poi, è “Casa Armonia”: una casa vacanze attrezzata e priva di barriere architettoniche, che si trova a San Zeno di Montagna. «Si tratta di una struttura di proprietà della Fondazione Barbieri, che abbiamo contribuito a ristrutturare e gestiamo direttamente dal 2007 – precisa la presidente –. Qui facciamo le nostre vacanze estive, ma in ogni periodo dell’anno gli spazi sono a disposizione di gruppi che si occupano di disabilità: il servizio è molto richiesto, registriamo numerose presenze da varie zone dell’Italia». Sono 19 i posti complessivi; all’esterno, invece, i percorsi tracciati nel giardino e nel bosco sono accessibili anche a chi si muove in sedia a rotelle.

Cinquant’anni, tempo di bilanci. «Siamo contenti del nostro mezzo secolo di operato: quei volontari che nel ’68 hanno dato vita al progetto sono stati bravi ad accompagnare famiglie e disabili in un progressivo processo di emancipazione», rimarca la presidente. E per il futuro, quali desideri ci sono ancora nel cassetto? «Ci auguriamo che l’associazione continui a esserci e a camminare, portando avanti le istanze delle persone che non hanno voce e quelle dei loro cari», è l’auspicio. «Vorremmo che la disabilità non fosse considerata un mondo a parte: queste sono persone che hanno accettato i propri limiti, ma vogliono vivere come tutti gli altri un’esistenza normale, ne hanno il diritto – chiosa Tezza –. Non sono loro a dover limitarsi, è la società che deve essere più inclusiva, partendo ad esempio dall’accesso al lavoro. Le leggi ci sono: deve cambiare la mentalità della gente».

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