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Il volto buio del Vietnam

Questa settimana Michelle Obama, Julia Roberts e Jenna Bush – figlia dell’ex presidente americano – hanno fatto tappa in Vietnam e visitato alcune scuole del Paese. L’ex first lady, impegnata nella Obama Foundation, e le sue compagne d’avventura hanno attraversato alcune delle province più povere dello Stato. L’obiettivo del viaggio era accendere i riflettori sul diritto all’educazione delle giovani generazioni vietnamite.

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Questa settimana Michelle Obama, Julia Roberts e Jenna Bush – figlia dell’ex presidente americano – hanno fatto tappa in Vietnam e visitato alcune scuole del Paese. L’ex first lady, impegnata nella Obama Foundation, e le sue compagne d’avventura hanno attraversato alcune delle province più povere dello Stato. L’obiettivo del viaggio era accendere i riflettori sul diritto all’educazione delle giovani generazioni vietnamite.
Nonostante la rapida crescita economica avvenuta negli ultimi tre decenni, il Vietnam vive profonde lacerazioni interne. Se il tasso di scolarizzazione è relativamente alto rispetto al resto del Sudest asiatico (91,7%), esiste un’enorme disparità fra aree metropolitane e zone rurali, dove i bambini rischiano di mollare presto la scuola e rimanere senza istruzione.
Nelle province più depresse le speranze di un futuro migliore sono poche e numerosi vietnamiti sono disposti a lasciare tutto e partire per cercare fortuna altrove. L’avventura, però, riserva spesso tragici epiloghi.
Qualche giorno fa nel Paese si sono svolti i funerali di alcuni giovani, morti soffocati all’interno del tir che dal Belgio li aveva portati illegalmente in Regno Unito. A perdere la vita sono state, in tutto, 39 persone. Il terribile episodio di cronaca ha squarciato il velo sul fenomeno della tratta di persone che dal Vietnam arriva fino a Londra e Parigi. Le famiglie che vivono nelle zone più arretrate del Paese sono disposte a indebitarsi e pagare migliaia di euro ai trafficanti pur di imbarcare i propri figli su un mezzo che li porti in Europa.
Il viaggio è lungo e non ci sono certezze: la rotta si muove attraverso la Cina, per poi toccare la Russia e terminare quindi in Europa orientale, in Romania o Bulgaria. Da qui i ragazzi vietnamiti vengono spediti in Francia o nel Regno Unito. I più fortunati riescono a ottenere documenti falsi e a trovare lavoro in ristoranti, nei bar o locali di connazionali. I pochi soldi racimolati vengono spediti ai parenti, che possono contare su una cospicua fonte di reddito aggiuntiva per sfuggire alla miseria.
Per chi non può permettersi viaggi trans-continentali, ci sono alternative più a buon mercato. Nelle province settentrionali, al confine con la Cina, sono attive organizzazioni criminali che controllano la tratta di esseri umani tra Pechino e Hanoi. In queste aree i cittadini cinesi non hanno bisogno del visto per un massimo 15 giorni e possono così dedicarsi ai loro affari: non solo turismo o visite di famiglia, ma anche contrabbando, vendita di droga e traffico di esseri umani.
Le ong hanno scoperto le strategie utilizzate dai criminali per adescare nuove vittime. I banditi si servono di “intermediari” che si recano nelle comunità più povere per visitare le famiglie di donne incinte. Sfruttando le loro difficili condizioni di vita, convincono le madri ad attraversare il confine e partorire in Cina per poi vendere i loro neonati agli acquirenti locali. In Vietnam, la pratica è chiamata “acquisto e vendita dei feti”.
Alle famiglie sono garantiti compensi che vanno da 3mila a 5mila euro a bimbo: è questo il prezzo di mercato al quale viene svenduta una vita quando l’alternativa è la fame.

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