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McEwan, un fine osservatore dell’azione umana

Ian McEwan
La ballata di Adam Henry
Einaudi, Torino 2014
pagg. 208 - 20 euro

Parole chiave: La ballata di Adam Henry (1)
McEwan, un fine osservatore dell’azione umana

Grazie all’editrice Einaudi di Torino, Ian McEwan è da parecchio tempo per i lettori italiani una gradevole certezza, soprattutto quando si tratta di entrare in libreria ed acquistare un romanzo che seduca la mente con una prosa asciutta, elegante, per poi scagliarla nel bel mezzo delle situazioni-limite che egli evidentemente adora porre a perno dei suoi racconti. Chi ha amato Espiazione o L’amore fatale o Amsterdam – tanto per procedere liberi da vincoli di cronologia – non accetterà facilmente di lasciarsi sfuggire La ballata di Adam Henry.
Fiona Maye è un giudice dell’Alta Corte britannica. Alle soglie dei sessant’anni, s’è mostrata in grado di unire indissolubilmente il proprio nome ad una dedizione esemplare al lavoro, al carattere integerrimo della sua condotta e alla saggezza con cui sa muoversi su terreni minati, dove il diritto incrocia l’etica, la deontologia professionale e le convinzioni religiose. Turbata, ma non meno lucida, per una relazione rodata che ora sta mostrando la corda, Fiona è chiamata a pronunciarsi su un caso spinoso che ha come protagonista un ragazzo alle soglie della maggior età: Adam. Questi rifiuta in modo risoluto, per una questione di appartenenza religiosa, una trasfusione ematica che lo salverebbe, nell’immediato, da inenarrabili sofferenze, oltre che incrementare considerevolmente le speranze di completa guarigione. Prima di giungere alla sentenza, Fiona segue scrupolosamente il copione: ascoltare tutte le parti in causa e prendere in considerazione le perizie di stimati professionisti. È ormai ora di cena, ma decide, quale ultima mossa, di incontrare Adam, perché intende rendersi conto se il suo cocciuto appuntamento con la morte e con l’idea romantica che il ragazzo se n’è fatta sia frutto di una decisione ponderata o sia più il risultato di pressioni psicologiche provenienti dalla congregazione di appartenenza, che tiene in scacco pure i genitori. Il giudice rimane piacevolmente sorpreso dalla vivacità dell’intelligenza di Adam e dalla sua maturità di giudizio, dalla sua passione per la poesia e per la musica. Decide che questo esuberante attaccamento alla vita non può precipitare paradossalmente nella morte, e approda alla sentenza che dà semaforo verde alla struttura sanitaria presso la quale il ragazzo è ricoverato, perché intervenga con tutte le cure previste in casi analoghi, trasfusioni comprese.
La sentenza emessa incendia d’ira l’animo adolescenziale di Adam, ma avvia anche processi di liberazione imprevisti: di Adam stesso, che rivede radicalmente le convinzioni che lo avevano accompagnato sull’orlo della tomba; dei genitori del ragazzo, che possono riabbracciare sano e salvo il figlio, senza che formalmente la trasfusione ematica si sia configurata come un’abiura della fede. L’ascolto denso di empatia che Fiona dedica ad Adam nella stanza d’ospedale innesca, però, un rapporto fra i due talmente carico, nonostante la differenza di età, da indirizzare il racconto ad un epilogo drammaticamente imprevisto, dove sembra andar perso quanto la donna era riuscita a salvare in campo professionale e a recuperare in quello sentimentale.
La storia narrata dallo scrittore londinese cattura ancora una volta per l’eleganza scabra della prosa e per il groviglio sia esistenziale che professionale che egli complica ulteriormente proprio nel punto in cui pare volerlo brillantemente sbrogliare. Stante questa complessità, che il lettore rileva quasi come contrassegno della narrazione in questione, sembra di usarle violenza nel momento in cui si tentasse temerariamente di distillarne una morale. Certamente McEwan è un fine osservatore dell’azione umana, che nelle sue “tele” è dipinta con ineguagliabile ricchezza di particolari. Soprattutto vi si scorge il gusto di raccontare, accanto alle conseguenze cercate e volute delle scelte umane, anche quelle non preventivate: la grazia in cui semplicemente ci si imbatte; una disgrazia che si è voluto allontanare, senza purtroppo riuscirci.

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