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Lo sport è paragonabile all’attività creatrice di Dio

Lincoln Harvey
Breve teologia dello sport
Queriniana
pagg. 248 - 23 euro

Parole chiave: Breve teologia dello sport (1)
Lo sport è paragonabile all’attività creatrice di Dio

Questo libro, opera del del teologo anglicano Lincoln Harvey, è un saggio storico, filosofico e teologico sullo sport. In esso l’autore prende le mosse da una considerazione assai interessante: vi sono nella nostra vita molte realtà che esistono in funzione della loro finalità, ma ve ne sono altre per le quali il concetto di scopo non esaurisce la loro ragion d’essere. Una di queste è l’attività ludica, che appare come qualcosa privo di un fine, poiché, quando giochiamo, operiamo in un ambito spontaneo e privo di coercizioni.
La struttura del testo appare ben delineata: nei capitoli che vanno dal secondo (il primo è dedicato a una presentazione generale del tema) al quinto, Harvey descrive l’atteggiamento che verso lo sport ebbero il mondo antico, la Chiesa dei primi secoli e quella medievale; il sesto capitolo è dedicato a un’analisi filosofica dello sport; nel settimo vengono esaminati gli insegnamenti della Chiesa circa l’atto divino della creazione, in base al quale, nell’ottavo capitolo, viene affermato il sorprendente parallelismo tra sport e liturgia (ed è proprio questa la parte centrale del libro); infine, nella parte finale, l’autore invita la Chiesa a una rivalutazione dell’attività sportiva.
Harvey sostiene che l’atteggiamento del mondo ecclesiastico nei confronti dell’impegno agonistico è stato ambiguo: spesso di condanna, motivata dal pericolo dell’idolatria, ma anche di strumentalizzazione, in quanto, a suo avviso, lo sport fu accettato nella misura in cui veniva indirizzato verso fini sacrali. Nella civiltà greco-classica vi è sempre stata una forte relazione tra sport e religione: basti pensare ai giochi funebri, ma soprattutto alle Olimpiadi, il cui carattere precipuo era religioso, tant’è vero che durante i giochi olimpici la maggior parte delle giornate erano dedicate al culto. Anche la romanità tenne uniti sport e religione. I cristiani dei primi secoli non furono ostili alle pratiche sportive (pensiamo alle metafore paoline che utilizzano il linguaggio agonistico); tuttavia, era comunque predominante l’idea che la vita del credente fosse orientata interamente alla gloria di Dio e che il corpo potesse essere considerato buono solo in relazione al mistero dell’Incarnazione. Nell’epoca medievale la cavalleria incarnò, almeno in parte, gli ideali cristiani, anche se la Chiesa rimase per lo più ostile ai giochi cavallereschi.
Dal punto di vista filosofico, Harvey definisce il gioco come un “universale” che denota la natura umana ed è un’attività fine a se stessa e nel contempo densa di significato. Secondo una prospettiva teologica, il gioco si fonda sulla dottrina della creazione e celebra la libertà, tanto che, secondo l’autore, è possibile stabilire una connessione tra sport e culto. Infatti, egli sostiene che “il culto è la celebrazione liturgica di chi è Dio; lo sport è la celebrazione liturgica di chi siamo noi. Sono due mondi estremamente diversi. Ciononostante, culto e sport in un certo senso sono davvero fatti l’uno per l’altro, non da ultimo perché entrambi – a differenza delle necessità della vita – sono radicalmente liberi”.
È possibile dunque elaborare una teologia cristiana dello sport basata sugli insegnamenti fondamentali della Chiesa e sull’atto della creazione, che è stata una libera decisione di Dio, il quale ha liberamente amato le creature al punto di chiamarle all’esistenza. L’attività creatrice di Dio – afferma l’autore – va intesa come un gioco divino, un atto gioioso e spontaneo, un atto di pura libertà. Pertanto, come Dio è ludens, così lo è anche l’uomo, e il gioco altro non è che una partecipazione al divino. “Lo sport – scrive Harvey – è una liturgia della nostra contingenza. [...] Lo sport è solamente a gloria di Dio perché non è per nessun’altra ragione che per se stesso. Dio permette questa autonomia simile a una danza”. Il teologo anglicano, lungi dal considerarlo dannoso o inutile, rivendica allo sport un ruolo sorprendentemente significativo nel contesto dell’esistenza cristiana.

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