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Le grandi tragedie che ci fanno tutti uguali

Walter Scheidel
La grande livellatrice. Violenza e diseguaglianza dalla preistoria a oggi
Il Mulino
Bologna 2019
pp. 640, euro 35

Le grandi tragedie che ci fanno tutti uguali

Nei difficili giorni dell’emergenza provocata dal Covid-19, non pochi hanno immaginato un mondo diverso, meno ingiusto dell’attuale. Ma sarà veramente così? Avremo dopo il Coronavirus un futuro più equo? Come spiega Walter Scheidel in La grande livellatrice, ponderoso (630 pagine articolate in 7 parti) lavoro pubblicato nel 2017 e tradotto nel nostro Paese da Giovanni Arganese per i tipi del Mulino, solo grandi guerre, rivoluzioni, fallimenti di Stati ed epidemie si sono mostrati efficaci nel cambiare – temporaneamente – il mondo.
Le epidemie, scrive lo studioso austriaco attualmente docente di Storia antica alla Stanford University, sono il “quarto cavaliere” e si differenziano dai conflitti, dalle rivoluzioni e dai crolli di Stati e Imperi in quanto, in certi frangenti, risultano essere state molto più letali di tutti i disastri causati dall’uomo. Ad esempio, la “morte nera”, la peste del Trecento descritta da Boccaccio nel Decameron, ha avuto devastanti effetti sulla demografia e sui rapporti di forza nella società medioevale in Europa: questa pandemia ha mutato radicalmente per più di un secolo e mezzo la relazione tra terra e lavoro, operando un livellamento che portò al crollo delle rendite fondiarie e all’impennata del costo del lavoro. In poche parole: i ricchi furono meno ricchi e i poveri meno poveri e con maggiore potere contrattuale.
Estremamente più violenta risultò essere l’influenza spagnola che nel triennio 1918-20 arrivò ad infettare circa 500 milioni di persone in tutto il mondo, provocando dai cinquanta ai cento milioni di morti, in gran parte giovani e adulti precedentemente sani; poiché però i suoi effetti si mescolarono a quelli della Grande Guerra, non si può dire se abbia avuto conseguenze significative sulla redistribuzione delle risorse materiali.
Le domande che, grazie a una sterminata bibliografia comparata e a un’enorme massa di documenti, pone e si pone lo storico austriaco sono dunque queste: esistono o possono esistere fattori alternativi ad eventi traumatici, come le guerre e le epidemie, per ridurre le disuguaglianze? Dobbiamo accettare per forza condizioni strutturali di diseguaglianza o è possibile introdurre politiche redistributive in grado di livellare redditi e ricchezze al fine di regolare lo sviluppo riducendo gli squilibri economico-sociali? Che cosa potrebbe riservarci il futuro?
A queste domande il testo non offre delle risposte, ma una constatazione: di fronte alle grandi tragedie collettive siamo tutti uguali, ma la sofferenza può essere maggiore o minore a seconda delle condizioni economiche, della collocazione territoriale, dell’appartenenza a differenti continenti. Il che vuol dire cercare di redistribuire le risorse attraverso percorsi di sviluppo distribuiti a livello planetario.

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