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Il volto anonimo e invisibile del potere

Anonimo
Io sono il potere. Confessioni di un capo di gabinetto
Feltrinelli - Milano 2020
pagg. 288 - euro 18

Il volto anonimo e invisibile del potere

Nel 1887, morto Agostino Depretis, gli succedette nella carica di presidente del Consiglio Francesco Crispi. Egli istituì, nel 1888, i segretari particolari dei ministri, arroccati nei “gabinetti”, i camerini attigui all’ufficio del capo. Un capo di gabinetto dei giorni nostri, mantenendo l’anonimato, ha voluto raccontarsi a Giuseppe Salvaggiulo, giornalista del quotidiano La Stampa, che ne ha tratto un libro divertente e, nello stesso tempo, utile a riflettere sui meccanismi che regolano le stanze dei bottoni: Io sono il potere, edito per i tipi della Feltrinelli.
L’anonimo funzionario si presenta così: “Io non faccio qualcosa. Io sono qualcosa. Io sono il volto invisibile del potere. Io sono il capo di gabinetto”. Che poi spiega: “Fino al 1945 i capi di gabinetto erano fedelissimi collaboratori dei ministri. Ma l’amministrazione li viveva come un’imposizione politica e si ribellava. Ma così i politici si sentivano prigionieri dell’amministrazione. Ora il 90% dei capi di gabinetto arriva dall’esterno”. Le eccezioni, naturalmente, non mancano.
L’ufficio diretto dal capo di gabinetto è dunque uno degli uffici di diretta collaborazione con il ministro e, supportando lo stesso nella definizione degli obiettivi dell’amministrazione, diviene una delle figure di quel “potere opaco” di cui hanno scritto in un altro volume due studiosi come Guido Melis e Giovanna Tosatti. Si tratta di figure che sopravvivono nella penombra delle anticamere, gestendo gli affari pubblici e pure quelli privati dei loro capi. A tale proposito, l’anonimo racconta di quella volta che il “suo” ministro, già a bordo dell’aereo che doveva portarlo a Bruxelles, aveva dimenticato il cappotto. “Chiamai il capo scalo della compagnia aerea e il capo del posto di polizia a Fiumicino. Il decollo fu ritardato di dieci minuti, tempo necessario perché un agente recuperasse il loden e scortato dal capo sicurezza dell’aeroporto lo consegnasse al proprietario”.
Ora, al di là di questo ricordo personale (spassoso ma irritante per il comune cittadino), dalle quasi trecento pagine che compongono il testo pare svettare la fiera civetteria dei capi di gabinetto rispetto all’ignoranza diffusa e orgogliosa dei politici odierni (nella prima legislatura, quella del periodo 1948/1953, i deputati laureati erano il 91% degli eletti). D’altra parte, in questa “era dell’incompetenza” di cui ha recentemente scritto l’accademico statunitense Thomas M. Nichols, il libro dell’anonimo capo di gabinetto sembra pure un implicito atto d’accusa nei confronti della dicotomia tra l’attuale politica e quella preparazione che nasce con lo studio e con l’esperienza.

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