Condiscepoli di Agostino
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Questioni di natura pedagogica e morale

A mano a mano che ci inoltriamo nella conoscenza dell’opera immensa di Agostino sulla città di Dio, riscontriamo delle segnalazioni interessanti di carattere pedagogico. Ne è esempio il seguente testo, sempre del libro primo che confronta il vivere caratteristico della città di Dio con quella terrena...

A mano a mano che ci inoltriamo nella conoscenza dell’opera immensa di Agostino sulla città di Dio, riscontriamo delle segnalazioni interessanti di carattere pedagogico. Ne è esempio il seguente testo, sempre del libro primo che confronta il vivere caratteristico della città di Dio con quella terrena. Ci ricorda che è un  atto di carità discernere i momenti della correzione fraterna. Talvolta è più opportuno ed efficace soprassedere al momento, come atto di carità, al fine di non peggiorare la situazione: “Se pertanto qualcuno si astiene dal rimproverare e correggere coloro che agiscono male, perché cerca un tempo più opportuno o teme proprio per essi stessi, perché non diventino peggiori per questo motivo, o impediscano altri deboli (spiritualmente) di essere istruiti ad una vita buona  e pia e facciano pressione e allontanino dalla fede: questa non sembra essere una occasione di parzialità ma una decisione di carità” (De civitate Dei 1,9,2).
Questa operazione di discernimento non è facile a nessuno, nemmeno ai vescovi, ai quali compete essere sentinelle. Talvolta sono costretti dal dovere pastorale ad intervenire con chiarezza perché non si alteri nella coscienza il senso stesso del peccato: “A questo scopo infatti le sentinelle, cioè i vescovi delle comunità, sono stati costituiti nella Chiesa, affinché, mediante il rimprovero, non attenuino il senso della gravità dei peccati” (De civitate Dei 1,9,3).
A queste interessanti annotazioni ne aggiunge altre, di diversa natura. Si chiede, ad esempio, perché Roma subì la devastazione. Chi ne fu la causa? Questione delicata che riprenderà più volte. Ne dà una interpretazione di natura teologica: “Questi beni poterono perire in terra (a causa delle devastazioni dei barbari, poiché a Roma) rincrebbe trasferirli da lì (in cielo)” (De civitate Dei 1,10,2).
Altre osservazioni riguardano il rapporto tra qualità di vita e il dopo-morte. Tenendo conto che è destino di tutti morire, sia pure a età diverse. Ciò che più conta non è una vita lunga, ma una vita buona, mentre dovrebbe preoccupare l’eventuale morte spirituale che consegue alla morte naturale: “La fine (della vita terrena) rende uguale tanto la vita lunga quanto quella breve. Né infatti è qualche cosa di meglio o di peggio o di maggiore o più breve ciò che parimenti già non è più. Che differenza fa allora con quale genere di morte abbia fine questa vita, dal momento che colui per il quale è finita, non è più costretto a morire nuovamente?… Non va considerata cattiva morte quella che è stata preceduta da una vita buona. Non rende infatti cattiva una morte se non ciò che segue alla morte” (De civitate Dei 1,11).
Sotto forma di requisitoria, Agostino affronta poi l’argomento che lo tiene a lungo impegnato contro la malvagità dei costumi dei barbari pagani. Denuncia soprattutto la pratica disumana degli stupri perpetrati su chiunque. Ma, dopo aver avviato l’argomento, ecco che chiarisce alcuni aspetti di natura morale. In pratica, afferma che il male morale ha sempre come matrice la volontà malvagia. Ma se la violenza sessuale è solo subita e non vi partecipa la volontà, non ha traccia di peccato: “Certamente pensano di lanciare un grande crimine contro i Cristiani quando ingrandendo la prigionia aggiungono anche gli stupri commessi non solo nei confronti delle donne sposate e delle vergini destinate al matrimonio, ma anche di alcune consacrate. Qui però non la fede, non la pietà, non la stessa virtù che si definisce castità, ma piuttosto la nostra discussione fra il pudore e la ragione viene coartata da alcune difficoltà. Così pertanto in primo luogo sia stabilito e confermato che la virtù mediante la quale si vive rettamente, dalla sede dell’animo comanda alle membra del corpo e il corpo diventa santo in forza dell’uso della santa volontà: se essa rimane inflessibile e stabile, qualunque altra cosa sia compiuta dal corpo o nel corpo, qualora non si sia in grado di evitare senza un proprio peccato, avviene al di fuori della colpa di chi la subisce” (De civitate Dei 1,16).

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