Condiscepoli di Agostino
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Gli dei pagani esempio di immoralità

Agostino affonda il bisturi nella piaga del paganesimo, intriso di libidine di dominare, di ambizione, di avarizia e di lussuria causate dal benessere: “Infatti, quando quella (libidine di dominare) potrebbe quietarsi nelle menti intrise di superbia, finché con cariche perpetue non giunga al potere monarchico? Ma la facoltà di cariche da perpetuarsi non ci sarebbe se non prevalesse l’ambizione...

Agostino affonda il bisturi nella piaga del paganesimo, intriso di libidine di dominare, di ambizione, di avarizia e di lussuria causate dal benessere: “Infatti, quando quella (libidine di dominare) potrebbe quietarsi nelle menti intrise di superbia, finché con cariche perpetue non giunga al potere monarchico? Ma la facoltà di cariche da perpetuarsi non ci sarebbe se non prevalesse l’ambizione. A sua volta l’ambizione non avrebbe un gran peso se non nel popolo corrotto dall’avarizia e dalla lussuria. Però un popolo avaro e lussurioso è l’effetto del benessere” (De civitate Dei 1,31). Ma in definitiva, la vera causa di ogni male nel mondo pagano è il comportamento immorale degli dei: “I giochi scenici, gli spettacoli delle immoralità e la licenza delle vanità sono stati istituiti a Roma non dai vizi degli uomini ma dagli ordini dei vostri dei” (De civitate Dei 1,32).
Fra i Romani, però, qualcuno si mostrava critico di fronte all’imperversare della corruzione, fra tutti Scipione Nausica, il quale temeva il crollo dei costumi più di quello delle mura: “O menti dementi (Agostino si meraviglia che dopo la distruzione di Roma i Romani si siano rifugiati a Cartagine dove assistevano agli spettacoli teatrali mentre i non Romani piangevano la distruzione)… questa rovina e pestilenza degli animi, questa eversione della rettitudine e dell’onestà quel famoso Scipione (Nausica) temeva per voi quando proibiva la costruzione dei teatri, quando prevedeva che con facilità potevate lasciarvi corrompere e rovinare dal benessere, quando non voleva che voi foste sicuri dal terrore dei nemici. Egli infatti non pensava che fosse felice uno Stato perché le mura restano salde, mentre i costumi crollano… Nella vostra sicurezza infatti voi non cercate uno stato in pace ma la lussuria impunita, voi che, depravati dal benessere, non avete potuto essere corretti dalle avversità” (De civitate Dei 1,33).
Agostino è cosciente del fatto che numerosi pagani si sono convertiti al cristianesimo, anche per sfuggire alla cattura dei barbari. Senza esitazione li ammonisce a correggersi dai comportamenti pagani: “E tuttavia il fatto che siete in vita è dono di Dio. È Lui che concedendovi il perdono vi ammonisce di correggervi pentendovi; è Lui che a voi sebbene ingrati ha concesso di sfuggire dalle mani dei nemici sotto il nome di servi suoi o nei luoghi dei suoi martiri” (De civitate Dei 1,34).
Agostino non si illude. Capisce molto bene che la Chiesa annovera futuri cittadini tra gli attuali pagani, mentre, purtroppo, è costretta a prendere atto che alcuni suoi cittadini diventeranno futuri disertori apostati, esclusi ovviamente dalla sorte dei santi: “Queste ed altre cose risponda ai suoi nemici la famiglia redenta di Cristo Signore e peregrina città di Cristo re, se ne sarà in grado con maggior abbondanza e con maggior puntualità. Si ricordi senza dubbio che tra gli stessi nemici si nascondono suoi futuri cittadini, per non ritenere infruttuoso il fatto di doverli sopportare come nemici fino a che diventino partecipi della stessa fede o se ne abbia a vergognare presso di loro. Come, del resto, del loro numero anche la città di Dio ne ha con sé, per tutto il tempo del suo pellegrinaggio nel mondo, connessi nella comunione dei sacramenti, ma non con sé futuri (concittadini) nell’eterna sorte dei santi” (De civitate Dei 1,35).
La conclusione del primo libro ribadisce che le accuse contro i cristiani sono senza fondamento: “Ma si devono dire ancora alcune cose nei confronti di coloro che attribuiscono la disfatta dello Stato romano alla nostra religione… rifiutate le empie obiezioni, difendiamo la città di Dio e la vera pietà e il culto di Dio nel quale soltanto con verità viene promessa la beatitudine eterna” (De civitate Dei 1,36).

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