Condiscepoli di Agostino
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Chiamati ad essere amici di Dio e servi dei fratelli

Avviandosi alla conclusione della Esortazione postsinodale sui giovani, Christus vivit, papa Francesco non poteva non affrontare il tema della vocazione dei giovani. Il termine vocazione solitamente viene riservato alle vocazioni di vita consacrata verginale, di vita missionaria o di vita presbiterale...

Parole chiave: Esortazione Christus (21), Mons. Giuseppe Zenti (309), Vescovo di Verona (245)

Avviandosi alla conclusione della Esortazione postsinodale sui giovani, Christus vivit, papa Francesco non poteva non affrontare il tema della vocazione dei giovani. Il termine vocazione solitamente viene riservato alle vocazioni di vita consacrata verginale, di vita missionaria o di vita presbiterale. Cose sacrosante, ovviamente. Ma non mettono in ombra altre dimensioni della vocazione, in quanto “la parola vocazione può essere intesa in senso ampio, come chiamata di Dio. Comprende la chiamata alla vita, la chiamata all’amicizia con Lui, la chiamata alla santità” (CV 248). D’altra parte, è proprio considerando Dio come fonte della nostra esistenza che non ci è lecito pensarci al di fuori di Dio, di un suo progetto di amore finalizzato a portare a compimento l’essere donato “in un cammino di risposta al Signore, che ha un progetto stupendo per noi” (Ivi). Del resto, il Papa già nella sua Esortazione sulla santità, Gaudete et exsultate, echeggiando il Concilio Vaticano II, aveva chiarito il fatto che dopo la chiamata alla vita ogni persona porta scolpito dentro di lei la chiamata alla santità, cioè a portare a compimento la vita nelle sue potenzialità immesse nell’atto creativo (Cfr CV 249).
Il tutto però passa attraverso la chiamata a vivere l’amicizia con Dio, nella sequela di Cristo. E papa Francesco ribadisce questo concetto evocando la chiamata di Gesù Risorto a Pietro dopo la risurrezione, quando per tre volte gli ha chiesto esplicitamente se era disposto a vivere con lui una speciale relazione di amicizia: “Mi vuoi come amico? La missione che Pietro riceve di prendersi cura delle sue pecore e degli agnelli sarà sempre in relazione a questo amore gratuito, a questo amore di amicizia” (CV 250). Cosa che invece rifiutò di accordare a Gesù il giovane ricco, troppo attaccato alle sue ricchezze (Cfr CV 251). Per essere concreti, senza equivoci, “la vita che Gesù ci dona è una storia d’amore, una storia di vita che desidera mescolarsi con la nostra e mettere radici nella terra di ognuno. Quella vita non è una salvezza appesa ‘nella nuvola’ in attesa di venire scaricata, né una nuova ‘applicazione’ da scoprire, [ma] un invito a far parte di una storia d’amore che si intreccia con le nostre storie (CV 252).
Va tuttavia precisato che una tale storia d’amore non viene circoscritta tra una persona e Gesù, in modo intimistico. Al contrario, essa ha una dimensione essenzialmente missionaria, rivolta cioè agli altri: “Questa vocazione missionaria riguarda il nostro servizio agli altri. Perché la nostra vita sulla terra raggiunge la sua pienezza quando si trasforma in offerta” (CV 254). Il Papa arriva ad affermare: “Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo. Di conseguenza, dobbiamo pensare che ogni pastorale è vocazionale, ogni formazione è vocazionale e ogni spiritualità è vocazionale” (Ivi). Va da sé allora che nella vocazione “c’è qualcosa di più di una mera scelta pragmatica da parte nostra. In definitiva, si tratta di riconoscere per che cosa sono fatto, [...] qual è il piano del Signore per la mia vita” (CV 256). La vocazione non è dunque qualche cosa che ci raggiunge dall’esterno. Coincide con il nostro essere, creato da Dio per amore. Di conseguenza, “per realizzare la propria vocazione è necessario sviluppare, far germogliare e coltivare tutto ciò che si è. Non si tratta di inventarsi, di creare sé stessi dal nulla, ma di scoprirsi alla luce di Dio e far fiorire il proprio essere. [...] La tua vocazione ti orienta a tirare fuori il meglio di te stesso” (CV 257).

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