Condiscepoli di Agostino

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Zenti mons. Giuseppe

Con il Battesimo, ricevuto da sant’Ambrogio nella notte di Pasqua del 387, Agostino cominciava davvero una nuova vita, tutta radicata appunto nel Battesimo. Decide pertanto di lasciare per sempre Milano e di fare ritorno in Africa dove costruire un monastero per sé, per il figlio, per la madre e per pochi amici che condividevano la consacrazione a Dio: “Cercavamo di avere un qualsiasi luogo abbastanza utile al fine di metterci al tuo servizio; insieme facevamo ritorno in Africa. E arrivati a Ostia Tiberina, mia madre morì”.

Finalmente, dopo la lettura del testo della lettera ai Romani nel parco di Cassiciaco, Agostino si sente davvero libero interiormente dalla schiavitù della libidine, delle ambizioni e dei guadagni.

Agostino non riusciva a liberarsi dai ceppi che lo avevano legato alle passioni, soprattutto alla libidine sessuale, appunto perché in lui fluttuavano insieme una volontà di bene e una volontà di male. Si potrebbe dire che la sua più che volontà era velleità, o almeno un non volere del tutto...

Agostino ha vissuto anni di travaglio dovuto al fluttuare in lui di una volontà di bene e una volontà che mirava alla libidine. Anche da adulto. Da trentenne. Nel pieno della carriera di retore. Si sentiva come dissociato. Certo, con la sua perspicace intelligenza, aveva consapevolezza che tutta la realtà, lui stesso compreso, trae la sua esistenza e la sua verità da Dio ed è nelle sue mani: “E ho rivolto il mio sguardo verso le altre realtà e vidi che debbono a Te la loro esistenza e anche il loro termine, poiché Tu le tieni tutte nella tua mano con verità e tutte partecipano della verità, in quanto esistono e non c’è alcuna falsità se non quando si pensa che siano ciò che non sono”.

Retore a Milano e docente di retorica! Una carriera folgorante per Agostino e ben meritata. Ma proprio la sua carriera, alla vista di tutti, gli imponeva di avere come coniuge non una plebea, come era la madre di Adeodato, bensì una nobile. Tanto più che Agostino stava maturando dentro di lui, propiziata dalle preghiere della madre Monica, l’idea di farsi cristiano cattolico...

Agostino mal sopportava di restare a Roma, del resto non più nemmeno capitale dell’Impero, trasferita a Milano. Tra l’altro viveva dei proventi della docenza, ridotti al lumicino data l’abitudine, come già precisato, di parecchie scolaresche di passare ad un altro maestro nel momento di pagare la scuola.

Nemmeno per Agostino la docenza fu un affare facile. A Cartagine insegnava retorica. E viveva della sua docenza e con essa manteneva la sua “famiglia”...

Nel frattempo, Agostino aveva scritto un libro in due volumi intitolato Il bello e il conveniente. E, ancora attivo assertore del manicheismo, aveva deciso di dedicarlo ad un famoso manicheo di Roma, tal Gerio: “Che cosa, Signore mio Dio, mi ha spinto a dedicare quei libri all’oratore della città romana Gerio? Non lo conoscevo in faccia, ma avevo amato quell’uomo per la fama della dottrina, che era per lui illustre e avevo udito alcune sue espressioni e mi erano piaciute. Ma ancor di più perché piaceva ad altri... Pur in sua assenza l’uomo viene lodato e amato... Dall’amore di uno si accende l’amore di un altro”.

Prima di riprendere la narrazione delle avventure che lo avrebbero visto protagonista ancora una volta a Cartagine, Agostino sosta in riflessione, da Vescovo, per dare ragione alla certezza che portava in cuore, del fatto cioè che, nonostante il suo traviamento morale e religioso, Dio, nel suo Verbo fatto carne, mai lo aveva abbandonato: “La nostra stessa Vita (il Figlio di Dio) discese quaggiù e ha preso su di sé la nostra morte e l’ha uccisa attingendo le risorse dall’abbondanza della sua vita...

A Cartagine Agostino vive una duplice crisi: quella morale, dominato come era dalla smania di libidine, e quella religiosa, ormai preda della setta manichea. Dopo la morte di Patrizio, a soli 42 anni, convertito e battezzato grazie alla moglie Monica, Monica appunto raggiunge il figlio Agostino a Cartagine, travagliato da quella duplice crisi...