Editoriale di Mons. Zenti
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Il senso religioso delle offerte

Da quando papa Francesco ha giustamente richiamato ai sacerdoti il dovere pastorale di non imporre alcuna tariffa per l’esercizio del loro ministero, la questione delle cosiddette offerte è diventata un nervo scoperto.
Del resto, questa indicazione del Papa fa parte della più consolidata tradizione, almeno della nostra diocesi. Eventuali eccezioni striderebbero e umilierebbero l’intero presbiterio.

Parole chiave: Offerte (1), Vescovo (372), Editoriale (380), Mons. Giuseppe Zenti (310)

Da quando papa Francesco ha giustamente richiamato ai sacerdoti il dovere pastorale di non imporre alcuna tariffa per l’esercizio del loro ministero, la questione delle cosiddette offerte è diventata un nervo scoperto.
Del resto, questa indicazione del Papa fa parte della più consolidata tradizione, almeno della nostra diocesi. Eventuali eccezioni striderebbero e umilierebbero l’intero presbiterio.
Qual è infatti il senso dell’offerta data agli ordinati (diaconi, presbiteri, vescovi)? È un segno di apprezzamento per il ministero che viene svolto. È come se la gente volesse dire: «Non preoccuparti del tuo mantenimento; ci pensiamo noi; tu svolgi bene il tuo ministero di cui noi abbiamo bisogno». Di conseguenza, l’eventuale offerta deve essere frutto di assoluta libertà. Espressione della Provvidenza. A che cosa dunque servono le offerte? Per garantire all’ordinato una vita dignitosa, né più né meno. Tutto il resto egli ha il dovere morale di farlo confluire nella carità, elargita o personalmente o attraverso la Caritas o a beneficio delle opere pastorali.
Fatta questa doverosa premessa, focalizziamo il caso venuto a galla nei giorni scorsi, che ha avuto risonanza persino nazionale. Davvero eccessiva. Condannato a più di un anno un nostro sacerdote, cappellano del Cimitero monumentale. La condanna ha dell’incredibile. Lo affermo nella mia qualità di cittadino italiano cui sono garantite tutte le libertà, anche quella di contestare, motivatamente, e nella mia responsabilità di vescovo della diocesi in cui il sacerdote è incardinato.
Ecco il fatto. Quando una salma parte dal Cimitero, il cappellano o uno dei collaboratori diaconi, si incaricano di dare una benedizione. Le varie agenzie funebri suggeriscono ai familiari, se lo desiderano, di dare direttamente al sacerdote o al diacono un’offerta, magari simbolica. Una agenzia invece non l’ha mai fatto. Il cappellano l’ha fatto presente. Senza alcuna pretesa. In una telefonata intercorsa tra la segretaria dell’agenzia e il cappellano del Cimitero monumentale, di cui riporto la versione, costui, in tono alterato dall’esasperazione, del quale peraltro ha chiesto scusa, le ha ricordato che le altre agenzie sono solite spendere una parola e che tra gli offerenti qualcuno era giunto a dare fino a venti euro (la telefonata fu registrata dalla segretaria! E, a quanto mi è stato riferito, soltanto su quella telefonata si è impostato il processo ed è stata emessa la sentenza!). Da notare che nessuna salma è mai partita dal Cimitero monumentale, né partirà, senza benedizione. Con offerta, e mai richiesta, o senza offerta. E, comunque, il cappellano non ha compiuto nessuna estorsione; ha rilevato un dato.
Se per un fatto del genere, dove non c’è l’ombra dell’estorsione, uno viene giudicato reo, in attesa di conoscere le argomentazioni della sentenza, confidiamo che la giustizia riesca a coincidere con la verità.

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