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La Parola di Dio che lenisce le ferite

“Effatà”, una proposta diocesana di annuncio e catechesi a partire da situazioni difficili di vita

Parole chiave: Effatà (1), Annuncio (1), Situazioni difficili (1), Cura (12), Ministero della consolazione (2)
Locandina degli eventi

Riprenderà nel nuovo anno la preghiera Effatà, una proposta della Diocesi di Verona del tutto inedita, curata dall’équipe dei ministri della consolazione in tre differenti luoghi della provincia. Il 10 gennaio, infatti, si concluderanno gli incontri al santuario della Madonna Addolorata di Solane (Fumane) e contemporaneamente inizieranno nel santuario di Santa Maria della Pace (Madonna di Campagna) a San Michele Extra. Per comprendere nel dettaglio di che si tratta, abbiamo fatto qualche domanda a don Silvio Zonin, coordinatore diocesano dei ministri della consolazione. 
– Don Silvio, da dove nasce Effatà e cosa propone?
«È un’iniziativa che ha un nome evangelico, “Effatà” appunto, che è la parola che Gesù pronuncia nel Vangelo di Marco per guarire il sordomuto. Intende offrire un percorso di catechesi, evangelizzazione e preghiera a partire dalle necessità concrete delle persone. Si tiene conto della serie infinita di disagi: familiari, personali, relazionali… delle sofferenze a 360 gradi. Pur essendo serate aperte a tutti, sono rivolte in modo particolare a chi sente il bisogno di una Parola o di un intervento di Dio nella sua vita, per lenire le ferite, fisiche e tante volte di altra natura. È anche un modo per avvicinare una fetta enorme di persone in balia di sé stesse o sganciate dalle consuete proposte pastorali. La presenza cospicua agli incontri fatti finora è sintomo di un bisogno reale, proprio perché va a toccare una necessità di molte persone». 
– Come si struttura ogni serata?
«Sono quattro incontri a cadenza mensile in tre differenti santuari, per dodici serate complessive. In ogni appuntamento si parte dalla celebrazione dell’Eucaristia che comprende una catechesi specifica. Al termine viene proposta una mezz’ora di adorazione eucaristica guidata e a seguire la preghiera di intercessione e guarigione. Poi, chi lo desidera, può ricevere una benedizione personale con l’imposizione delle mani o qualche altro segno particolare. È una struttura nata dall’esperienza. Nel corso degli incontri, si approfondiscono differenti temi: la dignità dell’uomo, fatto ad immagine e somiglianza di Dio; la redenzione di Gesù attraverso la Croce e la Pasqua; la conversione e la guarigione interiore; la vita liturgico sacramentale e la lotta spirituale». 
– Diventa, in ultima istanza, un modo per evangelizzare?
«Sì, è un metodo per fare catechesi partendo dai problemi delle persone, dalla loro guarigione. Che è poi quanto faceva Gesù nella sua opera di annuncio: partiva dai bisognosi, dai malati, dal cieco, dal sordomuto, dal paralitico, dai peccatori. È un cammino ordinario di nuova evangelizzazione, da non considerarsi straordinario. Oggi corriamo il rischio che il nostro evangelizzare sia un parlare esclusivamente alla testa delle persone. L’Evangelii Gaudium, invece, ci invita a tenere presente le situazioni di povertà, che non trovano conforto altrove, e da lì partire». 
– La guarigione di cui si accennava, in cosa consiste e perché si rende necessaria? 
«L’orazione che facciamo dopo la comunione è a tutti gli effetti una preghiera di guarigione. Il nostro rapporto con Dio vive una costante incrinatura a causa della colpa originale. Su questa spaccatura si innestano tutti gli altri mali, che vanno ad intaccare le relazioni con Dio, con noi stessi e con gli altri. Lì si infiltra il maligno, il diavolo (dal greco dia-ballo), colui che divide e frattura ogni tipo di relazione. In questo Maria ci viene in aiuto come Madre, perché è stata preservata dal peccato originario. È lei che sovrintende il percorso di guarigione delle nostre relazioni a tutto tondo. Non è casuale la scelta dei tre luoghi della preghiera Effatà: tre santuari mariani». 
– Si tratta quindi di guarigioni nello spirito più che fisiche?
«Negli anni ho assistito anche a guarigioni fisiche, ma non è questo il punto. Abbiamo bisogno prima di tutto di guarigione interiore, perché se siamo guariti e riconciliati nello spirito possiamo affrontare tutte le sofferenze e le tribolazioni: il dolore, il lutto, la malattia. Guardiamo a Cristo. Gesù è morto in croce tra sofferenze atroci, ma in Lui non troviamo malattie interiori. Ci viene descritto sano di mente, senza rancori, capace di perdono, capace di creare relazioni anche in punto di morte. E noi “dalle sue piaghe siamo stati guariti” (Is 53,5). In questi incontri, grazie a Lui, là dove regna la disperazione facciamo largo alla speranza, anche chi è nella tribolazione trova sollievo, è un momento in cui “respira”». 

A cura della Sezione pastorale della Diocesi di Verona

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