Il Fatto di Bruno Fasani
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Una lezione importante per il mondo del lavoro

Ci sono storie che sembrano uscite dal libro Cuore, ovvero una sorta di concentrato di sentimento, che non ti viene neppure l’idea che possano esistere nella realtà. Eppure quello che è accaduto a Mortigliano, in provincia di Udine, forse è il miglior antidoto per sconfiggere i luoghi comuni, quelli degli esseri umani incapaci di fraternità, soprattutto quando di mezzo ci sono gli affari, quelli che scivolano sul pelo lungo dell’indifferenza...

Parole chiave: Il Fatto (415), Bruno Fasani (323), Lavoro (62)

Ci sono storie che sembrano uscite dal libro Cuore, ovvero una sorta di concentrato di sentimento, che non ti viene neppure l’idea che possano esistere nella realtà. Eppure quello che è accaduto a Mortigliano, in provincia di Udine, forse è il miglior antidoto per sconfiggere i luoghi comuni, quelli degli esseri umani incapaci di fraternità, soprattutto quando di mezzo ci sono gli affari, quelli che scivolano sul pelo lungo dell’indifferenza.
Era lo scorso mese di luglio, quando un male incurabile si portava via il giovane Andrea Comand. Dal 2011 questo giovane friulano aveva aperto un’officina meccanica. Competenza, passione e intelligenza avevano fatto velocemente di una piccola azienda un fiore all’occhiello, dando lavoro ad altre persone, nella consolidata tradizione di quel Nordest che, per anni ha fatto da traino allo sviluppo del Paese.
Poi il terribile male, che sembra annientare speranze e prospettive, come se improvvisamente dovesse finire il mondo, mandando all’aria quanto costruito precedentemente. E invece Andrea Comand, che non ha moglie e figli, decide che c’è comunque un futuro, non solo per la sua azienda, ma anche per chi ha fatto sì che questa azienda prosperasse e diventasse ciò che era diventata. Ed è così che, nero su bianco, nel testamento lascia scritto che le sue quote proprietarie vadano ai dipendenti, quegli stessi che hanno condiviso con lui le fatiche degli inizi e del successo. È bastato solo un mese per sbrigare le procedure del caso e in questi giorni l’azienda ha riaperto, nel nome e nello spirito di Andrea.
«Come sempre ci ha spiazzati – hanno scritto i suoi collaboratori eredi - con i suoi gesti istintivi, diretti, concreti, impegnativi ma fatti con il cuore. Ci ha insegnato a camminare da soli perché non era una persona gelosa del suo sapere ma orgogliosa di far crescere le persone che aveva scelto alle sue dipendenze».
E vissero felici e contenti, potrebbe essere l’happy end della storia, ma la vicenda non può essere confinata banalmente nei recinti della sola bontà. C’è un messaggio per il mondo del lavoro dove spesso la logica del profitto a tutti i costi porta a dimenticare che prima degli utili esistono le persone. Penso, ad esempio, alla facilità con cui si pratica la delocalizzazione delle aziende, mandando a spasso migliaia e migliaia di persone, in nome di un guadagno da fare con mano d’opera a basso costo o sotto pagata. Penso al caporalato, ai tanti stagionali impiegati nel settore agricolo, spesso in regime di vera e propria schiavitù. Penso alla facilità di lasciare a casa dipendenti per il solo motivo che non si rinuncia ad abbassare il tetto dei propri utili. L’elenco potrebbe continuare, portandoci dentro alla spirale della sconsolatezza, se non fosse che uomini come Andrea Comand sono lì a raccontarci che non sempre è così.

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