Il Fatto di Bruno Fasani
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Quegli scandali vergognosi che domandano coraggio

La notizia arriva come un pugno nello stomaco, risvegliando indignazione insieme a una voglia incontenibile di ribellione. A Prato cinque sacerdoti, un frate e altri tre, indicati genericamente come religiosi, hanno ricevuto un avviso di garanzia per presunti abusi sessuali e psicologici su minori che avevano in custodia...

Parole chiave: Il Fatto (417), Bruno Fasani (325), Pedofilia (4)

La notizia arriva come un pugno nello stomaco, risvegliando indignazione insieme a una voglia incontenibile di ribellione. A Prato cinque sacerdoti, un frate e altri tre, indicati genericamente come religiosi, hanno ricevuto un avviso di garanzia per presunti abusi sessuali e psicologici su minori che avevano in custodia. La maggior parte di loro appartiene all’Associazione pubblica di fedeli “Discepoli dell’Annunciazione”. A fondarla un prete religioso veronese, che ha fatto il percorso teologico negli anni ’70 e che ricordo come persona semplice e mite. Che qualcosa non funzionasse in quella comunità lo aveva capito anche il vescovo, Giovanni Nerbini, giunto nella diocesi di Prato lo scorso settembre. Da subito aveva fatto partire un’inchiesta penale canonica, che lo aveva portato a recarsi di lì a poco presso la Procura della Repubblica a denunciare quanto di sua conoscenza. In contemporanea la Santa Sede provvedeva alla soppressione dei “Discepoli dell’Annunciazione”, causa “gravi mancanze riguardanti il carisma e lo svolgimento della vita religiosa all’interno della comunità, oltre che dal venir meno degli aderenti”. Poche parole, ma significative, che oggi sembrano aggravare lo scenario ipotizzato dalla Magistratura. Le ipotesi di reato sono “gravissime”, si legge in una nota della diocesi, e “addolorano l’intera comunità pratese”. “Non nascondo il mio dolore e la mia viva preoccupazione e vorrei sperare che gli addebiti mossi non risultino veri, ma voglio chiaramente dire – afferma mons. Nerbini – che il primo interesse che ha la Chiesa di Prato è quello della ricerca della verità. Per questo auspico che la Magistratura, nell’interesse di tutti, possa portare quanto prima a termine le indagini”.
Un avviso di garanzia, lo sappiamo bene, non è ancora una prova di colpevolezza, anche se le sofferte e distinte valutazioni della diocesi di Prato e della Santa Sede fanno pensare ad una realtà che lascia margini inquietanti di dubbio. Che conclusioni trarne?
La prima è quella di non generalizzare. Da sempre vado ripetendo che mettere tutti i preti nello stesso calderone è una forma di qualunquismo e di razzismo morale. Non si può additare tutti al disprezzo per le colpe di alcuni. La pedofilia è una violenza senza limiti. Ma anche il sospetto e la diffamazione generalizzata sono una forma di violenza che getta ombre sull’operato generoso e ineccepibile dei tanti pastori zelanti e trasparenti.
In secondo luogo ci vuole però il coraggio di uscire allo scoperto, senza reticenze o facili coperture, sia pure giustificate dal fatto di evitare lo scandalo. Ha fatto bene il vescovo di Prato a denunciare, perché è proprio il tacere che segna, alla prova dei fatti, la più dannosa forma di scandalo che la Chiesa può dare.
Infine mi chiedo se non sarebbe il caso che le comunità cristiane, dove avvengono questi misfatti, si costituissero parte civile contro quei fratelli che tanto fango portano all’immagine della Chiesa. E lo dico non in senso vendicativo, ma quale deterrente. Un tempo si diceva che colpire nel portafoglio serve a raddrizzare la schiena più di tante leggi e anche di tante preghiere.

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