Il Fatto di Bruno Fasani
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Quando l’uso delle parole serve a nascondere altri obiettivi e interessi

Nella baraonda che ha segnato questi ultimi giorni della politica italiana, c’è un dato sul quale vorrei riflettere un attimo e non rigorosamente da un punto di vista politico. Questo perché il problema va ben oltre il perimetro parlamentare, come vedremo tra poco...

Parole chiave: Il Fatto (415), Bruno Fasani (323)

Nella baraonda che ha segnato questi ultimi giorni della politica italiana, c’è un dato sul quale vorrei riflettere un attimo e non rigorosamente da un punto di vista politico. Questo perché il problema va ben oltre il perimetro parlamentare, come vedremo tra poco. Mi riferisco all’uso strumentale che si fa delle parole adattandole agli scopi che ci si prefigge di raggiungere. Vi ricordate i governi di qualche tempo fa e di altro colore politico, in cerca di puntelli per non cadere? Allora chi aderiva veniva definito “traditore, “venduto” (e qualche volta lo era realmente!), “trasformista”, “transfuga”. Si parlava di mercato delle vacche, dove non si capiva se il disprezzo era più per i sensali o per le vacche che si prestavano ad essere comprate. Povere incolpevoli vacche (quelle vere ovviamente)!
Oggi, per una di quelle metamorfosi di cui tutti sanno ma preferiscono far finta di niente, si preferisce l’imbroglio semantico parlando di “costruttori, responsabili…”. Vero allora o vero adesso? E se vero ora, perché non fare un mea culpa per allora? Ma se fosse vero l’opposto, perché non gridare allo scandalo forti dell’esperienza passata?
Il problema, cari lettori, è in realtà vecchio come il mondo e consiste nell’ipocrisia dell’animo umano, portato a usare le parole non in concordanza con la verità interiore, ma adattandole agli obiettivi che si intendono raggiungere. Provate a vedere, meglio a sentire, la puzza di certe conversazioni di certo mondo borghese, dove si sprecano i convenevoli e i superlativi, salvo dover mettere i bip di censura al taglia-cuci delle critiche, appena uno gira l’angolo. La verità è che sempre il servilismo e l’adulazione sono funzionali ai vantaggi personali, indifferenti al bene comune e al rispetto vero delle persone. Sarà anche per questo che Gesù, conoscendo molto bene l’animo umano, ci ha detto: «Il vostro parlare sia sì, sì, no, no. Il resto viene dal Maligno».
E sia chiaro, a scanso di equivoci, che non ho nulla contro costruttori e responsabili.  Anzi, sarebbe bello vederli uscire allo scoperto, portando i loro convincenti ragionamenti sul perché delle loro scelte. Il bello di metterci la faccia, come dovrebbe essere tipico di persone responsabili, così come vengono qualificate. Paradossalmente sarebbe anche più accettabile che ci dicessero con candore: cari italiani, ho comprato casa e sto pagando il mutuo. A me altri due anni in Parlamento a 13, 14 mila euro al mese sono grasso che cola. Io sto qui, perché qui mi hanno messo gli elettori, a rappresentarli per 5 anni. E qui per 5 anni chiedo di restare.
Se mai le parole vengono usate per dire altro, ne abbiamo avuto un esempio anche nei giorni scorsi, in altra situazione. Ci ha pensato il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese la quale, cancellando le disposizioni di Salvini del 2019, ha decretato che sui documenti dei minori si torni a scrivere “genitore 1 e genitore 2”, in sostituzione di “padre e madre”. Un provvedimento urgentissimo, come si può evincere, considerati i pochi problemi che abbiamo da risolvere. In realtà anche in questo caso un adattamento semantico per far passare altro dalla verità della vita. Perché la verità vera è che la biologia ci racconta che ogni creatura viene da un padre e una madre. Che venga da una coppia, da un utero in affitto, da una inseminazione eterologa, non si è ancora creata l’alternativa al maschile e femminile voluto dal Padreterno. E allora perché non mettere più correttamente: “facente funzione paterna o materna”?
Un giorno ci penserà la storia a giudicare questo tempo, mentre la verità della vita continuerà a scorrere implacabile dentro le leggi della natura.

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