Il Fatto di Bruno Fasani
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La libertà di Beppe Grillo marcia solo a senso unico

Sappiamo bene che per Beppe Grillo lo spazio del web è qualcosa di simile al liquido amniotico, insomma l’humus vitale in cui è stato concepito e poi portato alla luce il Movimento 5 Stelle. Di più, gli spazi web sono diventati il suo supermercato, la pompa della benzina, la bombola ad ossigeno, il digestivo Antonetto, le gocce di Guttalax… ed anche il bancomat.

Parole chiave: Beppe Grillo (1), Il Fatto (417), Bruno Fasani (325)

Sappiamo bene che per Beppe Grillo lo spazio del web è qualcosa di simile al liquido amniotico, insomma l’humus vitale in cui è stato concepito e poi portato alla luce il Movimento 5 Stelle. Di più, gli spazi web sono diventati il suo supermercato, la pompa della benzina, la bombola ad ossigeno, il digestivo Antonetto, le gocce di Guttalax… ed anche il bancomat. Eppure va dato atto che l’intuizione di fondo, quando tutto si era messo in moto, non era neppure tanto male. Nell’epoca del digitale, anche la democrazia doveva fiorire dalle tastiere di un computer. Tanti pc tante opinioni, tante opinioni tanti politici. O almeno l’impressione era che dalla spirale della  comunicazione virtuale, tutti si sentissero padroni del giocattolo, ossia del potere e delle istituzioni. Poi, vabbé, a tutto c’è un limite. Deve averlo pensato anche il buon Beppe, sempre dietro il palcoscenico a tirare le fila e a mettere in riga quanti  fossero tentati di uscire dal gregge. Sul web si discutevano le scelte calate dall’alto, sul web si sceglievano i candidati, sul web si correggevano gli indocili… una sorta di nuovo monte Sinai, dal quale il redivivo Mosè proclamava i comandamenti al nuovo popolo del Grillo.
Forse neppure lui pensava però che la cultura digitale, così come si presta a prendere a cazzotti, altrettanto rischia di beccarsi qualche montante. Erano bastate le prime defaillance, Pizzarotti da Parma, le firme false di Palermo, i disastri della Raggi a Roma per far gridare al fondatore contro il complotto dei media. Lui poteva insultare a destra e a manca, tenere i comizi in contemporanea al discorso di fine anno del presidente Mattarella, fare lo spaccasassi, quello della politica della denuncia, che rende tanto in termini di consenso, come un nuovo Sai Baba che materializza gioielli quando apre bocca.
Ma a farlo imbestialire nei giorni scorsi è stato l’intervento di Pitruzzella, presidente dell’Antitrust, il quale in una intervista ha sostenuto che la “post-verità”, ossia le bufale lanciate in rete, non solo costituiscono una minaccia alla democrazia in quanto finalizzate ad intercettare il populismo e gli umori della gente, ma ha anche auspicato che vengano istituiti organismi di vigilanza in grado di controllare ed eventualmente sanzionare i trasgressori. Apriti cielo. Tanto è bastato a Grillo per parlare di “nuova Inquisizione”, dando dei “rosiconi” a quanti parlano di post-verità, ossia notizie senza capo né coda. Ma di cosa ha paura l’Ortottero canterino? Nessuno gli ha mai parlato dell’urgenza di porre dei confini agli esploratori del web, magari quando si consumano dei terribili stalking, quando si pubblicano notizie infamanti, particolari personali scabrosi che hanno portato moltissime persone al suicidio? Nessuno gli ha mai ricordato che una democrazia si regge solo se ha dei doveri accanto ai diritti e quindi anche quello di qualche controllo? 

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