Il Fatto di Bruno Fasani
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Il tempo della Quaresima come opportunità per guarire nell’anima e ritrovare se stessi

Se quest’anno il Martedì grasso s’è limitato alle briciole di un carnevale cancellato, non è che il rito delle Ceneri abbia avuto grandi rivincite

Parole chiave: Ceneri (2), Bruno Fasani (323), Il Fatto (415), Quaresima (23)

Se quest’anno il Martedì grasso s’è limitato alle briciole di un carnevale cancellato, non è che il rito delle Ceneri abbia avuto grandi rivincite. Ma qui il Covid-19 non c’entra nulla. Casomai esso stesso s’è trasformato in penitenza, le cui restrizioni i cittadini danno segni di non sopportare più. La verità è che le Ceneri, che non sono una moda, per i più sono passate di moda. Resiste un gruppo di reduci che ci crede ancora e ancora le riceve, ma nell’orizzonte della new generation e della grande massa, un tatuaggio o una pippata di spinello sono molto più appetibili di una spolliciata di cenere spolverata tra i capelli.
“Convertitevi e credete nel Vangelo” è la frase che accompagna il rito per ricordare la vocazione di un cristiano. Ritornello che ha preso il posto del più antico: “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai”, per rammentare, agli illusi di eternità, il correre veloce del tempo verso la dissoluzione. Frasi solenni che hanno bisogno, come indispensabile condizione per essere accolte, quella di essere aperti alla vita spirituale.
Non va di moda la spiritualità. Ce ne sarebbe un gran bisogno, ma di fatto si ricorre ai surrogati. E c’è da domandarsi se non avesse ragione Jung, discepolo di Freud, quando diceva che il problema di tutti i malati deriva dall’ambiguità del loro atteggiamento religioso. Si sta male perché c’è una parte di noi che non viene più usata, finendo per morire atrofizzata. Un Alzheimer dell’anima i cui esiti si traducono in noia e sofferenza. La scorsa settimana, Dee, bellissima diciottenne americana con centomila seguaci su Instagram e un canale personale su YouTube dove faceva l’influencer come va di moda oggi, scriveva prima di impiccarsi: “Ok, so che vi sto infastidendo, questo è il mio ultimo post”. Si chiedeva il padre cosa le mancasse per essere felice.
Era il 1960 quando Moravia scriveva La noia. Vi si descriveva la vita di un giovane artista che, dopo aver rotto con il mondo borghese della famiglia, finiva in una relazione complicata all’insegna del sesso libero e trasgressivo. Una situazione sempre più infelice che lo porterà a cercare la morte lanciandosi con l’auto contro un platano. Anticipazione profetica di una noia che di lì in poi avrebbe segnato lo stile e la sofferenza delle generazioni a venire, in cerca di infinito nei surrogati delle cose. Sarà il potere, il divertirsi da morire, l’uso di alcol e droghe, l’erotismo come esercizio fisico, l’idolatria del proprio io… Un cercare la gioia fuori di sé, dimenticando di curare l’intimo dal quale e solo dal quale dipende l’armonia delle persone.
Dostoevskij diceva che il mondo non finirà a causa delle guerre, ma sarà uno sbadiglio a farlo morire. Uno sbadiglio che mette in circolazione la noia, quella che porta alla stanchezza di vivere, alla nausea o alla violenza arrogante con cui si cerca di convincersi di essere vivi.
Quando la Chiesa, ripetendo parole antiche ed eterne, invita i credenti a fare del tempo quaresimale una opportunità di rinascita, esercita il più grande servizio materno a favore dell’umanità. Indicando la strada per rientrare in se stessi, essa insegna a guardare a quella parte malata in noi che chiede di essere guarita. Chi sono davvero Signore? Chi sono e chi ero ai tuoi occhi prima che il bubbone erodesse la mia anima, perdendo per strada Dio ma anche la mia identità più vera?
Nel Talmud, testo sacro dell’ebraismo, si dice che anche il medico più bravo va all’inferno, perché egli cura il fisico ma non la dimensione spirituale. Provocazione evidente, per dire che senza una cura dell’anima saremo perennemente condannati a seminare dentro di noi e intorno a noi la sofferenza di un virus che non ha rimedi.

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