Il Fatto di Bruno Fasani
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Ascoltare il silenzio dentro la propria coscienza per incontrare Dio

Mentre la Quaresima avanza a grandi passi verso la Pasqua, inciampo su un’affermazione di Shakespeare, che mi costringe a pensare: “L’uomo agitato suscita il riso degli angeli”...

Parole chiave: Il Fatto (415), Bruno Fasani (323)

Mentre la Quaresima avanza a grandi passi verso la Pasqua, inciampo su un’affermazione di Shakespeare, che mi costringe a pensare: “L’uomo agitato suscita il riso degli angeli” (Misura per misura, Atto II). In genere si ride con lo sguardo ironico davanti alla stupidità umana. Di solito è un riso senza benevolenza, perché serve a farci sentire più scaltri del nostro prossimo. Ma c’è anche un riso di tenerezza, quello che ci suscita un bambino maldestro, ancora incapace di esprimere in pienezza le potenzialità di cui è portatore. Penso sia questo il riso degli angeli davanti ai passi vacillanti con cui avanziamo nella vita.
Il Vangelo della scorsa domenica equipara il corpo di Gesù a una chiesa. Distruggetela e io in tre giorni la farò rivivere. Penso a quanti di noi si sono recati per assistere alla liturgia domenicale e tornati a casa vivono nell’impressione inconsapevole di aver fatto il proprio dovere. Oggi sono stato a Messa. Magari noi stessi preti: anche per oggi ho celebrato. Quasi il prezzo di un ticket cui siamo tenuti come cristiani. Ha bisogno di fare ancora tanta strada la convinzione che alla chiesa di pietra bisogna far precedere quella di carne. Un’affermazione che inchioda al muro la nostra fragile fede. Dov’è Dio? Dove lo incontro? Cosa mi dice oggi? Mi rendo conto di quanto sia facile cadere nell’idolatria, spostando la sua… residenza fuori dalla vita. La mia e quella degli altri. Trasformarlo in un pacchetto di principi morali, in un bagaglio di tradizioni, di riti mortificati nell’abitudine. Oppure in qualche regime di verità, un altare sul quale mettere in croce chi dissente dai principi di quel regno che chiamiamo Dio, ma che in realtà è solo la misura delle nostre opinioni vendute come verità della mente. E, per di più, qualche volta malata.
C’è un bisogno disperato di silenzio. “Quando preghi, entra nella tua stanza e chiudi l’uscio, e il Padre tuo che vede nel segreto…” (Mt 6, 6). Dio è lì, nel tuo peccato da risanare, nel tuo desiderio di cambiare, nelle tue lacrime, nel tuo dolore, nei tuoi sogni che spesso hanno i colori dei sogni di Dio per te. Ricordo un libro di Carlo Carretto di qualche decennio fa, Il deserto nella città. Era un invito a cercare dentro noi stessi quel silenzio e quella pace che spesso andiamo mendicando in qualche illusione venduta sulle bancarelle del chiasso. Per un Sanremo che ci ha distratto per qualche giorno, i surrogati sono sempre pronti a fornirci ricette per farci sentire vivi.
Distruggete questa chiesa e io la farò rivivere... Penso all’oggi di Dio. Dove lo incontro? Dove mi parla? E penso alle chiese che mi camminano accanto. Sono le persone che mi respirano intorno. I vecchi, radici della mia vita, che qualche volta considero rami secchi; gli amori seppelliti nell’abitudine, dopo i tempi spensierati della loro idealizzazione; i compagni di lavoro, che la vita mi impone senza averli scelti; i poveri che chiedono e quelli che mi disturbano; i bambini che avanzano col loro candore e quelli che la vita sta già scolorando nelle contraddizioni degli adulti… Dio è lì. Nelle chiese che sembrano cattedrali e in quelle che hanno i tratti di ruderi senza vita e senza domani.
Inutile cercare Dio altrove. Lui è vivo e portarlo fuori dalla storia delle creature, vuol dire farne un idolo. Come i crocifissi tatuati sulla pelle, mentre il cuore balla su altre pedane. O come riti che catturano il nostro senso estetico, senza che risveglino mai desideri più profondi di infinito. Quel desiderio che è il vero figlio del digiuno. Ridotto a qualche pratica di mortificazione della bocca, senza che mai esso arrivi in fondo all’animo. Là dove lo spazio dell’infinito domanda di essere esplorato dai nostri silenzi per scoprirne la grandezza.

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