Il Calciastorie
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I neuroni specchio e il padre che fa tuffare il figlio

Tifare è uno sport usurante. Non solo a livello psicologico (basta perdere una partita all’ultimo minuto per rendersene conto) ma anche e soprattutto fisico. Perché quando l’ala destra crossa in mezzo e il bomber salta, ti viene istintivo muovere la testa per colpire il pallone, anche se sei sulle gradinate...

Parole chiave: Il Calciastorie (121), Sport (139), Calcio (135)

Tifare è uno sport usurante. Non solo a livello psicologico (basta perdere una partita all’ultimo minuto per rendersene conto) ma anche e soprattutto fisico. Perché quando l’ala destra crossa in mezzo e il bomber salta, ti viene istintivo muovere la testa per colpire il pallone, anche se sei sulle gradinate. E quando un giocatore tira al volo, beh, centinaia di persone sedute davanti alla tv ripetono lo stesso gesto, a volte incuranti della presenza di un tavolino a tre centimetri dalla loro gamba. La scienza riconduce questi fenomeni ai cosiddetti neuroni specchio, che fanno ripetere un’azione appena osservata. In un qualche modo, sono essenziali alla nostra sopravvivenza e ci rendono capaci di empatia. Mettersi nei panni degli altri non è troppo complicato, siamo “programmati” per questo. Lo è ancora meno quando, di mezzo, c’è un figlio. Lo hanno già definito “il padre dell’anno”, con un’enfasi a dir poco eccessiva, l’uomo autore di un inaspettato intervento nel corso della partita tra due squadre gallesi, il Llanilar Fc e il Bow Street, categoria 7-8 anni. Il portiere di quest’ultima formazione è distratto quando – un video lo testimonia – il numero 8 degli avversari, in maglia gialla, scatta sulla fascia sinistra, si ferma e da distanza siderale (per uno della sua età) sparacchia un destro senza troppa convinzione. La palla piano piano arriva verso la porta, ma, appunto, chi deve sorvegliarla sta guardando altrove. Il papà è a due passi da lui: lo avverte, gli dice qualcosa, ma il figliolo non è reattivo. Che figura farà il pargolo quando vedrà la palla entrare in rete per colpa di una sua distrazione? Si mette nei suoi panni e, senza pensarci più di tanto, si tuffa. O meglio, spinge il figlio che, di conseguenza, cade a terra. Quanto basta per respingere il pallone, anche se, sulla ribattuta, un altro giocatore dei gialli riesce facilmente a insaccare a porta vuota, mentre l’uomo si allontana sorridendo come a dire: «Neppure così ce l’ho fatta». Non è il padre dell’anno, anche se – tutto sommato – la scena appare involontariamente comica. Eppure sarebbe bello riuscire a mettersi nei panni anche di chi ha ben altre necessità. Chissà se e quando i neuroni specchio ci rifletteranno le immagini di bambini che fuggono da terre lontane. Ci ritroveremmo a scappare con loro, a pregare con loro, a chiedere accoglienza assieme a loro, a condividere gioie e tristezze. E poi, sì, anche a vivere assieme momenti buffi come quelli di una caduta goffa in un campo di calcio. Facendoci due risate, finalmente in santa pace.

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