Il Calciastorie
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A lezione di senso civico da un ragazzo undicenne

Un quadro e una tapparella. Nella mia breve carriera da calciatore, ricordo di aver fatto solo queste due vittime. Della seconda fui quasi orgoglioso, perché in genere si mandano in frantumi i vetri delle finestre, non le tapparelle...

Parole chiave: Il Calciastorie (121), Sport (139), Calcio (135), Lorenzo Galliani (56)

Un quadro e una tapparella. Nella mia breve carriera da calciatore, ricordo di aver fatto solo queste due vittime. Della seconda fui quasi orgoglioso, perché in genere si mandano in frantumi i vetri delle finestre, non le tapparelle. Io invece c’ero riuscito, e mi ero convinto di avere un sinistro davvero potente. Mi ero potuto immedesimare in Roberto Carlos, il terzino brasiliano che tirava delle gran sassate su punizione. Nelle poche occasioni in cui mi immaginavo l’inferno, la condanna eterna era proprio questa: doversi disporre in barriera quando a calciare era Roberto Carlos. Dante non ci aveva pensato, ma solo perché ai suoi tempi – sfortunato lui – non era stato ancora inventato il gioco del calcio.
Ad ogni modo, non pretendo certo di avere l’esclusiva sui danneggiamenti causati da un tiro più o meno svirgolato: ci siamo passati quasi tutti. Dico “quasi” perché ricordo Federico che lisciava il pallone in modo sistematico, e non avrebbe potuto rompere una finestra neanche se questa fosse stata a venti centimetri da lui.
Non tutti però hanno avuto il coraggio di fare come un ragazzino di 11 anni. Il quale, dopo il tiro maldestro, ha lasciato un biglietto: “Buongiorno, mi scusi per la pianta. L’ho colpita accidentalmente con un pallone da calcio. Ecco 5 euro per il danno”. La storia è stata raccontata in questi giorni dal professor Giovanni Grandi, docente di Filosofia all’Università di Trieste. La pianta (che sta bene) è quella di un suo vicino: «Il mio prossimo corso di Etica Pubblica in Università non potrà che partire da qui». In un video di qualche giorno fa, Grandi è tornato sul punto: «Perché un gesto che tutti concepiamo come giusto fa tanto rumore? Perché vediamo fare da un ragazzo una cosa che sappiamo essere giusta ma che da adulti ci riesce più difficile». La domanda allora si sposta: perché ci riesce difficile prenderci cura dei beni pubblici? Forse perché «il contesto è aggressivo» nei confronti di chi sbaglia, ed allora conviene nascondere la polvere sotto il tappeto. Ad ogni modo, conclude Grandi, per crescere nelle virtù morali bisogna allenarsi: «Il rimando tra il fare e il riflettere su quanto abbiamo fatto deve essere continuo». La lezione l’abbiamo avuta da un ragazzo di 11 anni. Ora tocca a noi.

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