Ex Cathedra
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Le parole da salvare in questo 2021

Un libro, anche di piccola mole, è sempre il risultato di un lavoro a più mani. Riprendo queste conclusioni dall’esperienza di trasformare una serie di articoli nel piccolo libro Ex cathedra che porta il titolo della rubrica

Parole chiave: Ex Cathedar (1), Lino Cattabianchi (16), Parole (4)

Un libro, anche di piccola mole, è sempre il risultato di un lavoro a più mani. Riprendo queste conclusioni dall’esperienza di trasformare una serie di articoli nel piccolo libro Ex cathedra che porta il titolo della rubrica e mi accorgo di quanto devo essere debitore nei confronti di chi ha sostenuto questa piccola fatica leggendo i testi prima della stampa, dando consigli, suggerendo tagli e stimolando utili e illuminanti integrazioni. Un amico mi ammonisce severamente con un messaggio su Whatsapp (aggiornarsi o sparire…) che sì, “è bello il gioco delle parole da buttare”, ma, per far le cose pari, “bello sarebbe anche il gioco della parole da salvaguardare” in questo inizio di 2021 che potrebbe essere l’anno della svolta che tutti auspichiamo e per la quale ognuno si deve impegnare nel suo piccolo.

Sentirsi parte di una collettività aiuta a non essere soli e a puntare ad un obiettivo comune. Ed ecco dunque i suggerimenti: “Bello il gioco delle ‘parole da buttare’ – dice l’amico –. Mi viene in mente, però anche quello delle parole da salvaguardare perché in via di estinzione: grazie, gratuità, servizio, dono, dovere, ascolto, dialogo, comunità, umiltà, recuperando il legame tra queste parole e la realtà, ossia il vissuto di chi le pronuncia. Un interessante filone o percorso, forse inflazionato, di riflessione che, forse, è in via di estinzione”. Parole sante, così ovvie che nessuno più ormai sente il dovere di ricordarle e di proporle da imitare e soprattutto da praticare. Ma proviamo a “percorrere” questa strada.

Sempre più spesso pensiamo che quello che ci tocca ci sia per forza “dovuto” per una malintesa interpretazione della cultura dei diritti. Invece, dire “grazie” significa riconoscere lo sforzo dell’altro che ci fornisce un’informazione, un servizio, magari col sorriso sulle labbra, anche se ci rendiamo conto che tutto ciò ha un costo. Gratuità: è la sfida con cui dovremmo misurare i nostri atti. È innegabile che l’interesse personale spesso prevale senza tentennamenti: le cose si fanno o si evitano se portano o non portano un utile. Su questa strada, l’idea del servizio, magari come dono, come attività “in perdita”, nella stretta contabilità del dare e dell’avere, rischia di impallidire, di non porsi come problema. «Non è un problema mio», si dice spesso per metterci a posto con la coscienza, magari frettolosamente. Un Pater, Ave e Gloria… e amen.

E arriviamo al clou dell’“Ex cathedra” di oggi: il dovere. Ci sono cose che non amiamo fare e che però vanno fatte perché, altrimenti, le conseguenze sono negative, nell’immediato o in prospettiva futura. Ma questo costa: bisogna darsi delle regole, impegnarsi, caricare la sveglia, insomma, essere pronti. In una società dove l’idea dei diritti individuali senza il contrappeso dei doveri, come ammonisce la Costituzione italiana (Parte I, Diritti e doveri dei cittadini, Edizione del Senato della Repubblica, dicembre 2012), si espande esponenzialmente, lo dicono le statistiche, aumenta la litigiosità che ingolfa i tribunali. È una cosa bella seria, altroché. Recita, infatti, l’articolo 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Si tratterebbe di ripartire da qui: il resto delle parole da conservare, come ascolto, dialogo, comunità, umiltà, ci spianerà la via ad un recupero urgente, questo sì “inderogabile” dello spirito di comunità adombrato dalla Costituzione nella parte iniziale, dove si condensa il senso del nostro vivere civile.

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