Condiscepoli di Agostino
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La grande questione della creazione

Con l’acutezza della sua intelligenza, Agostino ha attinto sempre per ogni questione non solo ispirazione ma anche contenuti sui quali ha riflettuto genialmente dalla Sacra Scrittura.

Parole chiave: Condiscepoli di Agostino (100), Sant'Agostino (175)

Con l’acutezza della sua intelligenza, Agostino ha attinto sempre per ogni questione non solo ispirazione ma anche contenuti sui quali ha riflettuto genialmente dalla Sacra Scrittura. Ma, consapevole come era per esperienza di studioso della Scrittura delle difficoltà che si riscontrano proprio nel coglierne i significati profondi, ne chiede la grazia attraverso Gesù Cristo il rivelatore assoluto e definitivo del Padre, il Creator con il Padre: “A me che busso si aprano i significati profondi delle tue parole... Te ne prego per il nostro Signore Gesù Cristo tuo Figlio, mediatore tuo e nostro, per mezzo del quale ci hai cercato anche se noi non ti cercavamo, ci hai cercato perché cerchiamo Te, il tuo Verbo, per mezzo del quale hai fatto ogni cosa, tra cui anche me”.
Il Verbo di Dio! Per Agostino è la pienezza della Verità su ogni cosa, appunto grazie al fatto che mediante Lui il Padre ha fatto ogni cosa. Di conseguenza, affrontando il tema della creazione, appunto nell’interpellare la Parola di Dio, in definitiva il suo Verbo, sa che attinge alla Verità, che non ha appartenenza etnica: “Certamente dentro di me, dentro il domicilio del mio pensare, la verità, né ebrea né greca né latina né barbara, senza gli organi della bocca e della lingua, senza strepiti di sillabe direbbe: «(Il Verbo) dice il vero»”.
Tutto questo funziona da premessa all’argomento della creazione. Della creazione Agostino rileva la mutabilità e la variabilità. Come pure il fatto che nessuna creatura si è fatta da sola. E poi la bellezza e la bontà di ogni creatura. “Quante cose, Signore, noi conosciamo attraverso le scoperte della scienza – osserva Agostino – ma che cosa è la nostra conoscenza di fronte alla tua?”. Solo assoluta ignoranza: “Ecco i cieli e la terra sono esistenti e gridano che sono stati fatti: sono infatti mutabili e variabili. Tutto ciò che non è stato fatto e tuttavia è (Dio), in lui non c’è qualche cosa che prima non c’era: equivarrebbe ad essere soggetto di mutamento e variazione... (il cielo e la terra) gridano che non si sono fatti da sé: perciò siamo perché siamo stati fatti; di conseguenza non esistevamo prima di essere così da poter essere da noi stessi. L’evidenza è la stessa voce dell’esistenza. Perciò, Signore, Tu che sei la bellezza hai fatto queste cose: infatti sono belle; Tu che sei la bontà (le hai fatte): sono infatti buone; Tu che sei (le hai fatte): infatti sono. Né sono così belle né così buone né così piene di essere come il loro Creatore, al cui confronto non sono belle, né sono buone, né sono esistenti. Sappiamo queste cose e ti rendiamo grazie, benché la nostra scienza paragonata alla tua è ignoranza”.
Si domanda anzitutto che significato attribuire all’espressione biblica: “In principio Dio creò il cielo e la terra”. Intuendone la difficoltà di interpretazione, chiede luce di verità a Dio: “Che io possa ascoltare e capire in che modo ‘In principio Tu hai fatto il cielo e la terra’”. E prosegue interrogandosi sull’origine della creazione, soprattutto quella dell’uomo: “Da che cosa avrebbero tratto origine queste cose se Tu non le avessi stabilite? Tu all’artefice (all’uomo) hai fatto un corpo; Tu gli hai fatto un animo capace di comandare alle membra; Tu hai fatto la materia con la quale fa qualche cosa; Tu hai fatto l’ingegno mediante il quale si appropria dell’arte ed è in grado di vedere dentro di sé ciò che intende fare all’esterno; Tu hai fatto i sensi del corpo mediante i quali trasferisce dall’animo alla materia ciò che fa... Te lodano tutte queste cose come Creatore di tutte le cose”.

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