Editoriale
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Se il voto diventa un buco nell'acqua

Meno di un italiano su tre domenica scorsa si è recato ai seggi per esprimersi in merito al “referendum sulle trivelle” promosso da nove consigli regionali, tra cui quello del Veneto, con il sostegno di associazioni e movimenti ambientalisti. Sarebbe sin troppo facile constatare che è stato un buco nell’acqua.

Parole chiave: Editoriale (402), Alberto Margoni (64), Referendum (4), Trivelle (1)

Meno di un italiano su tre domenica scorsa si è recato ai seggi per esprimersi in merito al “referendum sulle trivelle” promosso da nove consigli regionali, tra cui quello del Veneto, con il sostegno di associazioni e movimenti ambientalisti. Sarebbe sin troppo facile constatare che è stato un buco nell’acqua. E pure costoso, visto che se ne sono andati 300 milioni di euro, mica bruscolini. Molti i limiti: dal quesito incomprensibile (peraltro l’unico dichiarato ammissibile dalla Cassazione sui sei originariamente presentati, dopo le modifiche governative apportate nella Legge di stabilità), al mancato abbinamento con le elezioni amministrative in un election day (per il quale sarebbe occorsa un’apposita legge) che avrebbe aumentato il numero dei votanti e fatto risparmiare un po’ di soldi; dalla portata piuttosto limitata della questione (riguardante 44 concessioni entro i 22 km dalla costa che alla scadenza, in caso di vittoria dei sì, non avrebbero potuto essere prorogate), alle mistificazioni susseguitesi in una campagna referendaria raramente diventata argomento di discussione e dibattito tra la gente comune, anche nelle comunità cristiane. Inoltre il fatto che non fosse necessaria la raccolta di 500mila firme per l’indizione non ha favorito la mobilitazione della gente; un interesse più ampio si è registrato invece in quelle realtà marine toccate direttamente dalla questione. Personalmente ritengo che in caso di referendum abrogativo andrebbe pure vietata la diffusione durante la giornata dei dati riguardanti l’affluenza alle urne. Infatti se qualcuno avesse avuto una mezza idea di recarsi alla sezione elettorale prima della chiusura, una volta sentito che alle 19 l’affluenza era al 23,5%, se l’è fatta passare, nella certezza che il quorum richiesto non sarebbe mai stato raggiunto.
Sta di fatto che se inizialmente il tema aveva assunto la caratterizzazione che gli era propria, ovvero quella inerente la difesa dell’ambiente naturale marino e costiero, ultimamente ha preso una connotazione politica, diventando di fatto un referendum pro o contro Renzi, dichiaratosi propenso all’astensione. Sulla quale invece non potrà contare a ottobre per il referendum confermativo della riforma costituzionale che abroga il Senato elettivo. In quell’occasione non ci sarà alcun quorum a decretarne la validità e il premier si gioca la poltrona e, forse, pure il proprio futuro politico. In quella che già si preannuncia, ancor prima dell’estate, come “la battaglia d’autunno”.

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