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Quando il campo è impraticabile

Siamo nel cuore della tempesta perfetta, quella del Coronavirus, e a darne il suggello finale è stato il provvedimento del Governo che decreta la sospensione di tutti i campionati, a partire da quello di Serie A...

Parole chiave: Coronavirus (96), Calcio (135), Serie A (13), Editoriale (380)

Siamo nel cuore della tempesta perfetta, quella del Coronavirus, e a darne il suggello finale è stato il provvedimento del Governo che decreta la sospensione di tutti i campionati, a partire da quello di Serie A. Non che la cosa sconvolga la nostra vita più di quanto non lo sia già per ovvi motivi molto più seri; tuttavia questo fatto per me, più appassionato di pallone che tifoso di calcio, fa riaffiorare alla mente i ricordi d’infanzia e in particolare una scena: quando la partita di pallone nel campetto parrocchiale veniva sospesa per un acquazzone che trasformava il prato – ma forse il termine è un po’ esagerato perché di verde ce n’era pochino – in una pozza d’acqua.
Poiché il gioco era una vera e propria liturgia, e chi giocava lì aveva anche una certa competenza in tale argomento, tutti infatti si era anche chierichetti, di andare a casa non se ne parlava nemmeno e allora si svolgevano dei “riti speciali” per poter riprendere al più presto la nostra “ludica celebrazione”. Come ogni liturgia, anche questa aveva ben chiara la gerarchia dei compiti e delle mansioni. Sull’altare infatti non tutti potevano portare la croce astile, i candelieri o l’incenso, ma qualcuno doveva accontentarsi di portare solo il “libro”, i piattini alla comunione o, peggio ancora, di rimanere “in panchina”; così anche nel campetto parrocchiale i più esperti dirigevano le operazioni: occorreva scavare con mezzi di fortuna un piccolo canaletto che permettesse all’acqua di defluire verso un lato. Poi ci si metteva tutti in fila uno dietro all’altro con le gambe leggermente divaricate sopra il canaletto e con tutto ciò che si poteva utilizzare, coordinando i movimenti, si cercava di far scorrere via l’acqua.
Una volta terminata l’operazione, si riprendeva il gioco perché the show must go on, sempre! Il problema più grave era quello di quali scuse inventarsi presentandosi a casa tutti inzaccherati. Ma questo era un problema del dopo.
Adesso non possiamo agire in questo modo. Qualcuno che si prende cura di organizzare l’emergenza c’è, ma è chiaro che il “campo” non tornerà come prima per un bel po’, o forse mai. Ecco la questione da risolvere dopo l’emergenza che speriamo duri il meno possibile, ma senza aspettare troppo, perché è importante pensare a ripartire: come riorganizzare il nostro rapporto con il tempo, con l’ambiente, con le cose, con il lavoro, con le persone (compresi i figli), finanche con Dio… Dovremo ripensare meglio i nostri stili di vita. E non è un gioco da ragazzi.

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