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L’ambigua voglia dell’uomo forte

Non è una gran bella fotografia quella che esce dall’ultimo rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese pubblicata la settimana scorsa. La parola che domina il rapporto è “incertezza”...

Parole chiave: Editoriale (409), Renzo Beghini (62)

Non è una gran bella fotografia quella che esce dall’ultimo rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese pubblicata la settimana scorsa. La parola che domina il rapporto è “incertezza”. Il trend (negativo) ormai va avanti da qualche anno. Se ricordate, il sentimento dominante dello scorso anno era “cattiveria”, e “rancore” di quello precedente.
L’indagine racconta di un Paese “incerto”. Narra di individui che non si fidano, senza reti e legami, sfiduciati dei partiti e della politica. È il selfie di un Paese incapace di decidere e di affrontare i problemi: la “ripresa” economica che non c’è, la disoccupazione, l’inverno demografico, lo spopolamento del Sud, un’evasione (e una fiscalità) “indecente”, lo scarso livello dell’istruzione, la “corrosione delle giunture e delle guarnizioni” della società. L’atteggiamento della stragrande maggioranza degli italiani verso la politica – dice il Censis – è ormai di stabile delusione per l’incapacità di decidere sulle questioni fondamentali per la sopravvivenza e lo sviluppo del Paese.
E la cronaca di questi giorni non fa che confermare la sensazione: un governo fermo in un Paese fermo. In un alternarsi di scontri e minacce, nessuno ha la forza e il coraggio di prendere decisioni. Nemmeno per andare al voto. Al netto della quotidiana campagna elettorale e delle difficoltà del governo, l’opposizione non ha alcuna intenzione di amplificare il malcontento sociale. Non ha fretta di tornare al governo. Troppe grane: l’economia ferma, le casse vuote, le questioni Ilva e Alitalia, il rapporto difficile con l’Europa e la promessa di “meno tasse per tutti”. E come si fa a dimenticare che, dall’inizio della crisi del 2008, nel nostro Paese si sono succeduti ben sette esecutivi, di cui uno “tecnico” palesemente imposto dai mercati e dall’Unione Europea, nel generale discredito del ceto politico nazionale?
Per questo il 48% degli italiani vorrebbe “l’uomo forte al potere” che “non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni”. Il quadro emerso dal Censis non è espressione di nostalgie fasciste o di tendenze antidemocratiche. Ma è la prevedibile ed esasperata reazione di molti davanti alla paralisi della politica e alla sensazione di un Paese alla deriva. Basta osservare che il dato sale al 56% tra le persone con redditi bassi, al 62% tra i soggetti meno istruiti, al 67% tra gli operai. In sintesi tra la povera gente. Quelli che hanno bisogno di più “politica”. Se il 76% non si fida dei partiti, dato che sale all’81% tra gli operai e all’89% tra i disoccupati, i motivi ci sono. E finiamola col classificarli come “italiani ignoranti”. Se si inseguono gli slogan urlati e la barbarie delle parole, i motivi ci sono. Il primo “Vaffa-Day” è del 2007. E siamo ancora lì.
Eppure nonostante ciò, ci sono segnali di speranza. Il movimento delle “sardine” è un esempio che racconta la voglia di riprendersi il destino collettivo del Paese. Mostra il desiderio di una politica non urlata, non escludente, che non demonizzi il nemico. Certo, il contenuto è impreciso e (per la verità) impalpabile. Ma è un segno importante che indica almeno due direzioni.
Anzitutto il rapporto tra tradizione e innovazione va ristabilito investendo nei giovani e nelle loro potenzialità, senza lasciarli in panchina con politiche paternalistiche e assistenzialistiche. In secondo luogo, non ci sarà nessuna nuova stagione senza mettere al centro la formazione, la scuola e il lavoro. Gli adulti devono tornare a investire e fare formazione. In ogni campo. Perché solo ciò che migliora oggi la capacità di essere e fare delle nuove generazioni porta ad un futuro migliore.

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