Editoriale
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Il Primo Maggio sfida il lavoro

Ha ancora senso celebrare una “festa” per il lavoro? L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. Ma il lavoro interessa ancora? Ci interessa ancora?

Parole chiave: Primo Maggio (3), Festa dei lavoratori (2), Renzo Beghini (62), Lavoro (62)

Ha ancora senso celebrare una “festa” per il lavoro?
L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro.
Ma il lavoro interessa ancora? Ci interessa ancora?
Domenica scorsa in Gran Guardia c’è stata la terza edizione di TEDx Verona.
Bene. Sul palco si sono alternati 12 speakers che hanno raccontato la loro storia a partire da un tema comune che era “Re- prefisso futuro: re-invent, re-think, re-lay”. Il presupposto che sta alla base di ogni innovazione è la reinterpretazione. Ripensare un “quid” preesistente. Una kermesse di storie di successo, di entusiasmo, di idee e di innovazione. Insomma ci sono buone idee che con la giusta dose di passione, abilità e intraprendenza possono realizzare un sogno. Possono diventare, appunto, storie di successo. We can.
Certo, per chi ha i numeri e per chi ce la fa, sono esperienze da raccontare. Ma attenzione: il messaggio è che qui conta il risultato. Tutto dipende dal successo, dall’affermazione di sé. Questo il mito da inseguire.
Non c’è forse una logica calvinista in tutta questa faccenda? Il lavoro è proprio questa impresa prometeica individuale? Chi conosce il mondo del lavoro, sa che non è sempre così. Il lavoro ha una dignità che non sempre coincide col successo. Anzi, in azienda il successo non è per nulla un’impresa individuale.
È questo il lavoro che si celebra il Primo Maggio?
Il mese scorso abbiamo dato l’ultimo saluto a Fausto Scandola, un sindacalista della Cisl di Verona che aveva denunciato i maxi stipendi dei suoi dirigenti nazionali. È scandaloso – aveva detto – che un’organizzazione sindacale chieda i soldi della tessera a iscritti che guadagnano 10mila euro all’anno e poi ne versi 300mila nelle tasche dei dirigenti.
Alla fine lo hanno espulso. Inutili le proteste, le petizioni e i commenti indignati che ne sono seguiti. Molti dirigenti dello stesso sindacato avevano chiesto che il provvedimento fosse annullato.
Ma ciò che fa pensare è che non uno degli iscritti attivi della Cisl di Verona, non uno abbia riconsegnato la tessera e si sia indignato per la denuncia e l’espulsione di Fausto.
Alla fine l’impressione è che anche l’appartenenza al sindacato sia un fatto puramente privato e privatistico. Ti pago per un servizio che mi rendi e mi devi. La relazione è puramente strumentale. E poi, a chi interessa il mio lavoro? Tanto lo sappiamo che alla fine vincono i furbi! Il lavoro è divenuto questione individuale e una faccenda privata non più collettiva, non più di interesse pubblico.
Da dove ricominciare? Dall’impresa come comunità di persone! Papa Francesco nel suo viaggio in Messico, incontrando il mondo del lavoro disse che viviamo un tempo che ha imposto il paradigma dell’utilità economica come principio delle relazioni personali.
Questa mentalità non solo provoca la perdita della dimensione etica del lavoro, ma dimentica che il miglior investimento è quello che avviene sulla gente, sulle persone, sulle famiglie. Il miglior investimento è quello di creare opportunità. “Tutti noi dobbiamo lottare per far sì che il lavoro sia un’istanza di umanizzazione e di futuro, uno spazio per costruire società e cittadinanza”.
Cortei, bandiere, slogans e discorsi devono significare questo. Ancora oggi. Questa è, e deve essere, la vera sfida del Primo Maggio.

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