Editoriale
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Essere prete a chiese chiuse

Sono prete da una trentina d’anni, ma questa è la prima volta che, per cause non mie, salto la celebrazione comunitaria della Messa. Sulla porta della chiesa un triste cartello riporta le parole dell’ordinanza che motiva la chiusura forzata della casa di Dio...

Parole chiave: Coronavirus (96), Messe (10), Chiese (15)

Sono prete da una trentina d’anni, ma questa è la prima volta che, per cause non mie, salto la celebrazione comunitaria della Messa. Sulla porta della chiesa un triste cartello riporta le parole dell’ordinanza che motiva la chiusura forzata della casa di Dio; e mi viene in mente quella chiesa priva di porte, mi sembra in provincia di Ferrara, che osservavo da bambino sulla strada che portava al mare e mi domando se sia ancora così e cosa farebbe quel parroco nel caso in cui anche lì uscisse un’ordinanza come da noi. Confesso che in questo momento invidio quella chiesa e vorrei che anche la mia fosse priva di porte.
Nel buio si apprezza anche la flebile fiammella di un lumino: ciò significa che la domanda, almeno di religiosità, è ancora viva in tanti. Così mentre ci lamentiamo perché le nostre chiese sono sempre più vuote, stupisce e al tempo stesso rincuora sentire le lamentele di tanti fedeli che reclamano un luogo per pregare. Quando sono aperte, sembra che non ci vada nessuno; ma se sono chiuse ci si accorge che non è proprio così.
Sento attuali per me quelle parole del profeta Geremia: “Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per il paese e non sanno che cosa fare…”. In queste ore mi sento un pochino così anch’io. Ma questo aiuta a ricordarmi che celebrare i sacramenti non deve diventare un mestiere, e allora questa sosta può essere anche salutare. Una volta assolto l’obbligo di garantire i sacramenti ai fedeli, e l’Eucaristia è senz’altro il più importante, io non ho esaurito tutti i miei doveri sacerdotali: rimane da svolgere quell’altra parte del ministero fatta di relazioni, incontri e ascolto, oltre alla preghiera personale; questa non finisce mai.
La “vacanza” forzata potrebbe interrogare anche tanti fedeli che con coraggio e abnegazione non mancano mai all’incontro quotidiano con Gesù nella Messa: se sentono veramente la mancanza di questo Sacramento, si rendano ancora più consapevoli di quanto vale e forse troveranno anche il modo di ringraziare Dio perché qui da noi generalmente un prete che celebra c’è sempre, mentre non è così in altre parti del mondo. Ci sentiamo oggi più che mai in comunione con quei fratelli nella fede che la celebrazione eucaristica possono godersela solo raramente, magari soltanto una volta all’anno, semplicemente perché lì non c’è un prete. L’Eucaristia è il dono più bello che Gesù ci ha lasciato, ma anche la presenza di un prete, magari sgangherato, non è da meno.

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