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Costruire ponti: una fatica, ma ne vale la pena

Ci sono parole che diventano simboli, e papa Francesco con il suo linguaggio diretto e popolare ne sforna a iosa. Tra le parole, quelle che più mi colpiscono per la capacità evocativa e la carica di denuncia, sono certamente “muri” e “ponti”.

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Ci sono parole che diventano simboli, e papa Francesco con il suo linguaggio diretto e popolare ne sforna a iosa. Tra le parole, quelle che più mi colpiscono per la capacità evocativa e la carica di denuncia, sono certamente “muri” e “ponti”. Costruire un muro è un’impresa non scontata, costa fatica e richiede risorse. Non necessariamente ha una connotazione negativa, i muri servono anche per edificare le case o per contenere i fiumi dentro argini sicuri. Il muro rappresenta la sicurezza, dunque, quella domestica, affettiva, sociale. In questo caso il muro è fornito di doverose aperture (porte e finestre). È il riparo, il rifugio, la delimitazione di uno spazio determinato. Esso ci dà l’impressione di controllare meglio la situazione e anche la possibilità di vivere lontano da sguardi indiscreti. Però, una volta costruito, non ci permette di vedere cosa c’è oltre, magari sentiamo dei rumori che potrebbero essere dovuti alle macchinine con cui giocano i bambini – esattamente come fanno quelli dalla nostra parte –, ma potrebbero essere anche rumori di armi che si preparano per essere usate contro di noi. Il dubbio, il sospetto, la paura sono un cemento formidabile per tenere unito un muro ideologico.
I ponti invece contengono un’altra idea del mondo e della vita. Innanzitutto per costruire un ponte bisogna prima avvertire la necessità di superare un ostacolo, avere un interesse per ciò che c’è oltre. Ci dev’essere dall’altra parte qualcosa di prezioso verso cui siamo attratti, o qualcosa e qualcuno che vogliamo invitare ad avvicinarsi a noi. In altre parole il ponte implica la convinzione che le barriere naturali o culturali siano meno forti di ciò che ci accomuna e che siamo, pur nelle diversità, parte di una realtà unica. Osservare la realizzazione di un grande ponte o di un viadotto è sempre interessante: man mano che procede la costruzione dell’opera, sembra che ci si appoggi sul vuoto e quasi miracolosamente – miracoli della scienza e della tecnica ­– passo dopo passo ci si ritrova un sostegno sotto i piedi. In questo vedo un grande investimento di fiducia e in un certo senso anche il rischio della fede.
I muri e i ponti sono entrambe opere impegnative, ma dovendo fare quattro conti, credo sia più conveniente investire le limitate risorse per costruire i secondi. Il nostro vecchio pianeta in fondo è solo un granellino di terra e acqua sospeso nell’universo: costruirci muri è uno spreco anticristiano e antistorico.

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