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Suicidi, il dramma made in Usa che nessuno vuole e riesce affrontare

Impeachment, riforma del sistema sanitario, politica estera in Medio Oriente. Sono questi alcuni dei grandi temi che infiammano la campagna elettorale americana in vista delle elezioni presidenziali di novembre. Tutti i candidati ne parlano perché muovono l’opinione pubblica, scaldano gli animi degli elettori e spostano voti. Ce ne sono altri, magari meno noti e più insidiosi, che un Paese come gli Stati Uniti, chiamato all’appuntamento delle urne, non dovrebbe dimenticare.

Suicidi, il dramma made in Usa che nessuno vuole e riesce affrontare

Impeachment, riforma del sistema sanitario, politica estera in Medio Oriente. Sono questi alcuni dei grandi temi che infiammano la campagna elettorale americana in vista delle elezioni presidenziali di novembre. Tutti i candidati ne parlano perché muovono l’opinione pubblica, scaldano gli animi degli elettori e spostano voti. Ce ne sono altri, magari meno noti e più insidiosi, che un Paese come gli Stati Uniti, chiamato all’appuntamento delle urne, non dovrebbe dimenticare.
Nel 2010 il dipartimento americano alla Salute si era posto l’obiettivo di ridurre il tasso di suicidi da 12,1 a 10,2 ogni 100mila abitanti in dieci anni. Nel 2020 il traguardo non solo non è stato raggiunto, ma si è addirittura allontanato. La settimana scorsa i Centri federali per il controllo e la prevenzione hanno rivelato che, nel 2018, circa 48mila americani si sono tolti la vita.
Il tasso in questi anni ha subìto un’impennata, toccando quota 14,2 ogni 100mila abitanti. Per fare un confronto, è come se ogni anno una cittadina delle dimensioni di Rovigo sparisse nel nulla. I suicidi sono tra le prime dieci cause di morte nel Paese e uccidono più degli incidenti stradali e degli omicidi. Nonostante ciò, la portata del fenomeno è spesso sottovalutata.
Un recente studio condotto dalle Università dell’Ohio e del West Virginia ha provato a fare luce sulle cause di questa inquietante tendenza. I ricercatori hanno raccolto i dati su mezzo milioni di americani che hanno compiuto l’estremo gesto tra il 1999 e il 2016. Hanno scoperto che, tra i principali fattori che si nascondono dietro questa tragedia, c’è l’isolamento geografico.
Nelle aree rurali e meno popolate del Paese – quelle con meno di 50mila abitanti – il tasso di suicidi è del 25% più alto che nelle zone con almeno un milione di persone. Nel tempo questa differenza è lievitata: dieci anni fa era “solo” del 10%. Un secondo elemento chiave è la privazione, misurata attraverso i livelli di istruzione, occupazione e reddito. Se si è poveri, senza lavoro e privi di una formazione le probabilità di togliersi la vita aumentano.
Un terzo, determinante fattore è la solitudine. I suicidi sono più frequenti tra i single e tra coloro che abitano in un posto da meno di un anno. Più in generale, i centri con meno opportunità di interazione sociale come parchi, musei o stadi, tendono ad essere più a rischio.
C’è, infine, la onnipresente questione delle armi. La presenza di un negozio nelle vicinanze è associata a tassi significativamente più elevati. Il paradosso è che l’America profonda e rurale, dove il fenomeno dei suicidi è all’ordine del giorno, è proprio quella che non vuole limitarne la vendita.
Se di fronte a questi dati il presidente Trump – foraggiato dalla lobby delle armi a stelle e strisce, la Nfa – facesse orecchie da mercanti, i candidati democratici alla presidenza dovrebbero almeno provare a prenderli in considerazione. Anche se nessuno ne parla, i suicidi, negli Stati Uniti, sono un’emergenza nazionale. Combattere la solitudine, sradicare la privazione e regolare la vendita delle armi: ecco tre punti cardine di una campagna elettorale che, per quanto utopica, apparirebbe senz’altro sensata.

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