Condiscepoli di Agostino
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Qui si ha come re la Verità e come durata l’eternità

Agostino prosegue nella sua lucida analisi del mondo pagano che negli dei non aveva un esempio da imitare, ma degli istigatori all’immoralità. Non esita ad esporli al ridicolo, dal momento che mai di fatto avevano difeso la città di Roma, nemmeno nei tempi non sospetti in cui il popolo romano garantiva loro un culto perfetto, come nel caso della presa del colle Capitolino da parte dei Galli...

Agostino prosegue nella sua lucida analisi del mondo pagano che negli dei non aveva un esempio da imitare, ma degli istigatori all’immoralità. Non esita ad esporli al ridicolo, dal momento che mai di fatto avevano difeso la città di Roma, nemmeno nei tempi non sospetti in cui il popolo romano garantiva loro un culto perfetto, come nel caso della presa del colle Capitolino da parte dei Galli. Viene spontaneo ad Agostino porsi la domanda: che razza di dei erano se furono assenti alla presa del Capitolino da parte dei Galli? Potevano pretendere di essere venerati? Ecco il testo di Agostino: “Ma dove era questa folla di divinità quando molto prima che si corrompessero i costumi antichi Roma fu presa e incendiata dai Galli? O, forse, pur presenti, dormivano? Allora infatti, mentre tutta intera la città era consegnata in potere dei nemici, era rimasto soltanto il colle Capitolino, che pure sarebbe stato preso se, mentre gli dei dormivano, almeno le oche non vigilavano?… Ora però, ve ne prego, che razza di dei furono se non vollero vivere con la popolazione che li venerava, dal momento che non l’avevano educata a vivere bene mentre viveva male?” (De civitate Dei 2,22,2).
Come è suo costume in tutta l’opera, Agostino evidenzia gli atteggiamenti che caratterizzano la città mondana e la città celeste. Sta di fatto che i malvagi pagani, che rappresentano l’insieme della città mondana, non riescono a sopportare i costumi irreprensibili dei cristiani finalizzati alla vita dopo la morte e li detestano: “Gli iniqui mormorano per il fatto che i popoli confluiscono nella Chiesa con un assembramento casto, in una onesta distinzione di entrambi i sessi, dove possono udire quanto debbono vivere bene qui lungo il tempo per poter meritare di vivere dopo questa vita nella beatitudine e per sempre” (De civitate Dei,2,28).
Ciò nonostante, Agostino non dimentica il fatto che tra i Romani vi sono anche cittadini onesti. Fa appello pertanto ai veri Romani, progenie di Regolo, perché pratichino le antiche virtù: “O nobile stirpe romana degna di lode, o progenie dei Regolo, brama questi beni... questi beni brama piuttosto; questi sappi distinguere da quella vanità del tutto vergognosa e dalla malignità del tutto fallace dei demoni” (De civitate Dei, 2,29).
Ed ecco il colpo di genio di Agostino. Con un aforisma tra i più noti e densi di valore, offre le coordinate della città di Dio, completamente diversa dalla città mondana.
È un testo che merita di essere riportato anzitutto nella traduzione in lingua italiana, ma per la sua pregnanza anche nel testo originario in lingua latina, dove si percepisce l’arte del retore e l’orgoglio del credente: “Incomparabilmente più illustre è la città celeste, nella quale la vittoria è la verità, la dignità è la santità, la pace è la felicità, la vita è l’eternità” (ubi victoria veritas, ubi dignitas sanctitas, ubi pax felicitas, ubi vita aeternitas) (De civitate Dei 2,29,2). Un capolavoro letterario e teologico. A partire dal concetto della regalità vittoriosa della Verità. Eco di quanto Cristo rispose a Pilato: «Sì, sono re. Per questo sono nato e sono venuto al mondo, per rendere testimonianza alla Verità!». Segue la chiamata universale alla santità che esprime la vera dignità del cristiano; l’identificazione della pace con la felicità piena, oltre il tempo; e la vita oltre la morte non vincolata al tempo, pura durata, eternità. Da notare che simili espressioni si trovano disseminate anche in altri scritti di Agostino.

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