Condiscepoli di Agostino
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La testimonianza dei santi sul culto gradito a Dio

Per convincerci dell’importanza di rendere a Dio un culto a Lui gradito attraverso il fattivo amore fraterno, papa Francesco si appella alle testimonianze, una più teologica e l’altra più esistenziale, di due santi ben conosciuti: san Tommaso d’Aquino e santa Teresa di Calcutta...

Parole chiave: Gaudete et exsultate (17), Mons. Giuseppe Zenti (325), Vescovo di Verona (247)

Per convincerci dell’importanza di rendere a Dio un culto a Lui gradito attraverso il fattivo amore fraterno, papa Francesco si appella alle testimonianze, una più teologica e l’altra più esistenziale, di due santi ben conosciuti: san Tommaso d’Aquino e santa Teresa di Calcutta. Anzitutto presenta il pensiero illuminante del grande Tommaso, il quale sosteneva che le azioni compiute da un credente maggiormente gradite a Dio sono quelle ispirate e sostanziate di misericordia: “Noi non esercitiamo il culto verso Dio con sacrifici e con offerte esteriori a vantaggio suo, ma a vantaggio nostro e del prossimo: Egli infatti non ha bisogno dei nostri sacrifici, ma vuole che essi gli vengano offerti per la nostra devozione e a vantaggio del prossimo. Perciò la misericordia con la quale si soccorre la miseria altrui è sacrificio a Lui più accetto, assicurando esso più da vicino il bene del prossimo” (Ge 106).
E per ribadire il fatto che le opere di misericordia, praticate spendendosi anima e corpo e senza stancarsi, sono via di santificazione ci offre l’esempio di santa Teresa di Calcutta, la quale riconosceva le sue fragilità umane ma insieme il suo essere ponte di misericordia di Dio: “Sì, ho molte debolezze umane, molte miserie umane... Ma Lui si abbassa e si serve di noi, di te e di me, per essere suo amore e sua compassione nel mondo, nonostante i nostri peccati, nonostante le nostre miserie e i nostri difetti. Lui dipende da noi per amare il mondo e dimostrargli quanto lo ama. Se ci occupiamo troppo di noi stessi, non ci resterà tempo per gli altri” (Ge 107).
C’è dunque un atteggiamento che ostacola fortemente il cammino della santità: l’autoreferenzialità, incrementata dalla cultura del consumismo edonista che ci ossessiona nella smania di divertimento, al fine di godersi la vita (cfr Ge 108). Di conseguenza, il Papa, dopo aver esortato ad una certa austerità per liberarci dalla febbre del consumismo delle cose, ci mette in guardia anche dal “consumo di informazione superficiale e le forme di comunicazione rapida e virtuale... fattore di stordimento che si porta via tutto il nostro tempo e ci allontana dalla carne sofferente dei fratelli” (Ge 108). Ma precisa ulteriormente: “In mezzo a questa voragine attuale, il Vangelo risuona nuovamente per offrirci una vita diversa, più sana e più felice” (ivi).
A modo di conclusione del capitolo, papa Francesco riprende in considerazione i due nuclei del Vangelo che fanno da mappa della santità di vita per ogni persona, le Beatitudini e il Giudizio finale: “La forza della testimonianza dei santi sta nel vivere le beatitudini e la regola di comportamento del giudizio finale. Sono poche parole, semplici, ma pratiche e valide per tutti, perché il cristianesimo è fatto soprattutto per essere praticato, e se è anche oggetto di riflessione, ciò ha valore solo quando ci aiuta a vivere il Vangelo nella vita quotidiana” (Ge 109).
E, quasi da buon padre spirituale, così termina il terzo capitolo dell’esortazione: “Raccomando vivamente di rileggere spesso questi grandi testi biblici, di ricordarli, di pregare con essi e tentare di incarnarli. Ci faranno del bene, ci renderanno genuinamente felici” (ivi).

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