Condiscepoli di Agostino
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La patria della felicità

Agostino, dopo aver osservato con tristezza che gli dei avevano sospinto popoli miserabili alla guerra contro Roma per dare l’opportunità ai grandi come Cesare di emergere nel valore militare, traccia un profilo alto della civiltà romana quando era governata da nobili valori civili, in netto contrasto con i tempi della corruzione...

Agostino, dopo aver osservato con tristezza che gli dei avevano sospinto popoli miserabili alla guerra contro Roma per dare l’opportunità ai grandi come Cesare di emergere nel valore militare, traccia un profilo alto della civiltà romana quando era governata da nobili valori civili, in netto contrasto con i tempi della corruzione: “Queste arti essi esercitavano con tanta maggior perizia quanto meno si davano ai piaceri e all’infiacchimento dell’animo e del corpo nel desiderare e far aumentare le ricchezze e, attraverso di esse, nel corrompere i costumi, rapinando i miseri cittadini, facendo elargizioni agli spettacoli osceni. Per cui quei tali che già sovrabbondavano in decadimento dei costumi e ne straripavano non ambivano alle cariche e alla gloria, ma agli inganni e alle frodi” (De civ. Dei V, 12, 3). Quanta attualità in questa pagina!
Mentre i Romani altro non cercavano nella vita terrena se non la gloria che li avrebbe fatti ricordare oltre la morte, gli Apostoli rimasero fedeli agli insegnamenti di Cristo, del tutto alieni dalle immondezze pagane, vivendo divinamente: “Tanto più si è simili a Dio quanto più si è mondi da questa immondezza… Ed è ciò che non hanno fatto i santi Apostoli, i quali, predicando il nome di Cristo in quei luoghi dove non solo erano disapprovati, ma anche (il nome di Cristo) era sommamente detestato, tra maledizioni e oltraggi, tra gravissime persecuzioni e crudelissime pene non si sono lasciati distogliere dalla predicazione della salvezza umana da un così grande strepito di offesa umana. E poiché facevano e dicevano cose divine e vivevano divinamente, disarmati in qualche modo i loro cuori duri e introdotta la pace della giustizia, fu conseguita una ingente gloria nella Chiesa di Cristo… Ma restando essi (i Romani) nella città terrena, che cosa d’altro potevano amare se non la gloria, per mezzo della quale volevano vivere anche dopo la morte sulla bocca di quanti li avrebbero lodati?” (De civ. Dei V, 14).
Nel confronto fra la città di Dio e quella terrena Agostino fa risaltare la superiorità sotto ogni profilo della città di Dio. La città di Dio è eterna. Lì nessuno nasce perché nessuno muore. Il suo tesoro è la verità: “Quella città è eterna; lì nessuno nasce, perché nessuno muore; lì c’è la vera e piena felicità, non una dea ma dono di Dio; di lì abbiamo ricevuto il pegno della fede fino a quando siamo pellegrinanti sospirando alla sua bellezza; lì non sorge il sole sui buoni e sui cattivi, ma il sole della giustizia protegge soltanto i buoni; non ci sarà una grande operosità per arricchire il pubblico erario con le piccole risorse economiche dei privati, lì dove il tesoro comune è la verità” (De civ. Dei V, 16.17).
Nella città terrena domina la bramosia del potere e dell’onore, la cui radice sta nella superbia arrogante, da reprimere in ogni modo da parte dei credenti. I credenti tuttavia imparino dai pagani ad affrontare ogni prova per giungere alla gloria eterna, come essi hanno affrontato ogni prova per conseguire una gloria effimera: “Togli gli atti di arroganza superba, che cosa sono gli uomini se non uomini?... Né l’onore umano avrebbe dovuto essere stimato molto, dal momento che il fumo è di nessun peso... E valga per noi al fine di reprimere la superbia, questa considerazione: poiché quella città, nella quale ci è stato promesso di regnare, tanto dista da questa (terrena) quanto dista il cielo dalla terra, la vita eterna dalla gioia temporale, la solida gloria dalle lodi vane, la società degli angeli dalla società dei mortali, dalla luce del sole e della luna la luce di Colui che ha fatto il cielo e la terra, ai cittadini di una così grande patria non sembri di aver fatto nulla di tanto grande se per raggiungerla hanno fatto qualche buona opera o hanno sostenuto qualche male, dal momento che quelli (i Romani) per questa terrena già realizzata hanno fatto tante imprese e sopportato coraggiosamente tante cose” (De civ. Dei V, 17, 2).  

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