Condiscepoli di Agostino
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Fine dell’anno tra Miserere e Te Deum

La fine dell’anno civile ci obbliga ad una sosta per verificare la consistenza di un consuntivo di carattere spirituale e non solo economico politico...

Parole chiave: Mons. Giuseppe Zenti (310), Vescovo di Verona (245)

La fine dell’anno civile ci obbliga ad una sosta per verificare la consistenza di un consuntivo di carattere spirituale e non solo economico politico. Da una parte sta il cumulo delle miserie spirituali di ognuno di noi. Come sullo sfondo dell’orizzonte del tempo che ci sta alle spalle, un orizzonte ampio di 365 giorni, scorrono tutte le nostre incoerenze, le nostre insensibilità, i nostri egoismi, le trascuratezze delle espressioni di religiosità e di fede, la rilassatezza nel compimento dei doveri e del senso di responsabilità, diciamo pure i nostri peccati, le nostre miserie spirituali. Saranno stati magari effetto di fragilità più che di vera e propria cattiveria, ma ci stanno tutti davanti. Se poi, per ipotesi, non ne avessimo più nemmeno la coscienza, e la cosa desterebbe un certo allarme spirituale che segnalerebbe la presenza di una sorta di cancrena spirituale, il male compiuto non sarebbe comunque inesistente. In ogni caso, vale il detto della Scrittura: «Anche il giusto pecca sette volte al giorno» (cf Pr 24,16). Ora, memori della confessione pubblica compiuta dal salmista: «Se tu guardi le colpe, Signore, chi potrà sussistere?» (Sal 130,3), se in Dio fosse preminente la pura e assoluta Giustizia, nessun uomo avrebbe via di scampo. Tutti saremmo destinatari di una condanna inesorabile nel suo essere giustizia. E Dio non ci farebbe alcun torto. Ci darebbe solo ciò che meritiamo. Ma “Dio, ricco di Misericordia” ha guardato alla situazione di miseria in cui l’uomo, ogni uomo, sotto la forza di suggestione di satana, si è ingolfato, e riconoscendo in ogni uomo la sua opera d’arte andata in frantumi, comunque rovinata, preso da divina gelosia, nel suo Mistero di Amore Trinitario, ha deciso, per sovrana e imperscrutabile gratuità di amore, di riversare su ogni uomo che ne sia predisposto nell’umiltà del cuore, come sovrabbondante effluvio, la sua divina Misericordia. Che non ha paragoni con l’agire, pur benevolo, dell’uomo. È altra cosa. È esattamente il pensiero di Agostino, quando così si è espresso: “Davanti alla mia miseria sta la tua Misericordia”. Nel suo latino inconfondibile è anche più conciso, lapidario: “Miseria mea, Misericordia tua!”. Ed è, ancor prima, il contenuto del salmo davidico 51, il Miserere. D’altra parte, fortunatamente, nel consuntivo di ognuno non ci è dato di riconoscere solo saldi al negativo, bisognosi di un credito di Misericordia, che fa sconti del cento e dieci per cento, ma anche espressioni di un agire buono, da buon senso e persino coerente con le esigenze del Vangelo. Eppure, anche in questa felice ipotesi, non ci è lecito gloriarcene come se l’agire buono fosse merito esclusivo della buona volontà umana, che certo non può mancare. Esso è soprattutto frutto della grazia di Dio in noi, nel dono del suo Spirito, che ci ha ispirato l’agire buono, a lui gradito, e lo ha sorretto con la forza del suo amore. Un Te Deum di ringraziamento sgorga allora spontaneo dal cuore della Chiesa e in Essa di ogni cristiano. Miserere e Te Deum! Uno splendido e impegnativo dittico della spiritualità del cristiano. E non solo per la fine dell’anno civile.

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