Commento al Vangelo domenicale
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La maniera autentica di amare e seguire Gesù

Marco 12,38-44

In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa». Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

In questa trentaduesima domenica del tempo ordinario l’evangelista Marco riporta le ultime parole pronunciate da Gesù nel tempio prima della sua passione, morte e risurrezione (cfr. Mc 14 – 16), al termine del suo viaggio verso Gerusalemme, ormai arrivato al culmine e in pieno contrasto con gli scribi e i farisei. Gesù parla alla folla, che lo ascolta con passione; l’interesse di tutta questa gente nasce dall’origine delle parole di Gesù e dal fatto che Egli tocca il cuore delle persone. Il brano è diviso in due parti: la prima è una denuncia che il Signore rivolge agli scribi che “pregano a lungo per farsi vedere”; la seconda è un invito al dono totale di sé, come ha saputo fare una semplice donna “Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”. Vi è un contrasto tra le due scene molto forte, provocatorio, che invita ciascuno di noi a prendere coscienza di cosa significhi amare e seguire Gesù nel nostro cammino di fede. Ci possono essere due atteggiamenti: quello degli scribi, fatto di gesti esteriori, che ricerca, in maniera strumentale, la conferma del proprio potere ed utilizza lo strumento della fede per approfittarsi delle situazioni e trovare un proprio beneficio, nascondendosi dietro ad una maschera di ipocrisia. E ci può essere il modo della povera vedova, che dona tutto quello che possiede, affidandosi, facendo dipendere la sua vita da Dio: in quel poco che è nelle sue mani, si nasconde in realtà un tesoro che racconta a tutti noi un’offerta che non scaturisce da grandi ragionamenti, ma dal riconoscimento della fedeltà di Dio. Il superfluo del ricco, che getta due monete, è nulla a confronto del tutto che viene donato da questa “grande” donna di fede. E allora la domanda che si pone oggi alla nostra riflessione è diretta e chiara e ci invita a guardare dentro il nostro cuore per comprendere quanto siamo disposti a donare al Signore e a permettere che la sola ed unica ricchezza nella nostra vita sia il Suo amore e l’esistenza che ci chiama a realizzare nella sua volontà. Tante volte, troppe, siamo come quegli scribi che sfruttano la loro posizione per interessi personali, vivendo una religiosità ostentata, ma senza profondità. Il tema è delicato, pericoloso, perché mette in luce l’ipocrisia dell’uomo, la superficialità che talvolta accompagna le sue azioni. Spesso si corre il rischio di cadere nell’atteggiamento degli scribi, e questo è tanto più facile quanto diventa “abitudinario” e “scontato” agire per conto di una fede che dovrebbe motivare il nostro quotidiano e che ci chiama a rinnovarci. Oggi il Signore ci invita a riflettere con coraggio, per vivere con coerenza le nostre giornate. Ci viene chiesto di essere come quel pubblicano che si inginocchia in fondo al tempio e chiede a Dio di perdonarlo per la sua infedeltà e di aiutarlo a vivere con coerenza la sua esistenza (cfr. Lc 18,9-14). L’umiltà, la semplicità, il nascondimento, sono atteggiamenti che dovrebbero fare da cornice al nostro agire quotidiano, perché in questi si ritrova un cuore consapevole della propria fragilità, ma desideroso di amare Dio e il prossimo. La “povera vedova” nel suo piccolo dono ha espresso la sua profonda fede in Dio, perché ha affidato il suo cuore a Lui, offrendogli concretamente tutto quello che possedeva, consapevole che sarà Lui a darle ciò di cui necessita per vivere. “Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo”: il rischio è quello che il nostro dono possa essere solo un pretesto per mantenerci nell’ipocrisia degli scribi che “amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze”, perché ci troviamo a donare il nostro “superfluo”, ciò che non definisce la nostra esistenza, che non la caratterizza. Il Signore chiede di abbandonare parte delle nostre sicurezze, delle piccole conquiste raggiunte in anni di fatica, per lasciarci amare da Lui, per affidarci completamente al suo abbraccio: “In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà” (Mc 10,29-30). Il Signore chiede di “lasciare” come la vedova. Il benessere che accompagna la nostra vita ci impedisce a volte di fare spazio all’amore di Dio e rischia di immergerci in una superficialità che avvilisce la nostra esistenza e la rende arida. La vedova, al contrario del giovane ricco che “se ne andò triste” (cfr. Mc 10,22), nel suo gesto si immerge in una ricchezza immensa che nessuno le può sottrarre. Il nostro rischio è invece quello di diventare “incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete” (Papa Francesco, Evangelii gaudium, n. 54).

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