Commento al Vangelo domenicale
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Una festa di nozze speciale

Giovanni 2,1-11

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Parole chiave: Seconda Domenica Tempo Ordinario (1), Vangelo (420), Commento (93)

Quest’anno la liturgia ripresenta l’antica successione degli eventi di manifestazione del Signore Gesù, come è cantata dall’antifona dei secondi Vespri dell’Epifania e che dice: “Tre prodigi celebriamo in questo giorno santo: oggi la stella ha guidato i magi al presepio, oggi l’acqua è cambiata in vino alle nozze, oggi Cristo è battezzato nel Giordano per la nostra salvezza”, e per questo il brano del Vangelo di questa domenica è di Giovanni.
E, secondo le indicazioni cronologiche indicate dall’evangelista, ci troviamo al giorno sesto della settimana, con la quale Giovanni ha voluto riprendere, all’inizio del suo scritto, la settimana primitiva della creazione. Come nel giorno sesto è stato creato l’uomo, così ora ci troviamo di fronte ad una presenza del Messia in un contesto nuziale che richiama il proposito divino di fare l’uomo a sua immagine e somiglianza e di crearlo maschio e femmina. In questo modo Gesù è presentato come lo sposo vero, colui che finalmente renderà fecondo quel rapporto nuziale tra Dio e il suo popolo che è l’alleanza. Perché questa caratteristica nuziale della persona di Gesù non sembri un legame costruito in maniera artificiosa, non possiamo non ricordare che l’immagine nuziale è sempre stata un’immagine gradita e cara ai profeti (vedi Isaia, Geremia, Ezechiele e Osea) per parlare del rapporto di Dio con il suo popolo.
Nel racconto evangelico, infatti, neppure gli sposi, che nella realtà sono protagonisti della circostanza, prendono tanto rilievo quanto Gesù; l’unico altro personaggio che esce dall’anonimato è la madre di Gesù, la prima segnalata come presente a quelle nozze. Se il vino, simbolo, nel Cantico dei Cantici, dell’amore tra lo sposo e la sposa, e rappresentazione dell’amore fra Dio sposo e Israele sposa, viene a mancare, ciò significa che l’amore nell’alleanza antica si era estinto.
Per rimediare alla mancanza del vino-amore, notata da Maria, la medesima non si rivolge ai responsabili del banchetto, ma a Gesù: se lui è il Messia-sposo, è a lui che ci si deve rivolgere per superare la mancanza dell’amore tra il popolo e Dio. Maria pone in Gesù una fiducia totale. Con la sua risposta all’osservazione-invito della madre, il Figlio sembra voler rimandare ogni suo intervento all’“ora” in cui il patto tra Dio e il suo popolo sarà rinnovato nel momento fondamentale della vita del Messia, la sua Pasqua, l’“ora” del suo passaggio da questo mondo al Padre. Nonostante ciò, la Madre ordina ai servi di fare qualsiasi cosa sarà detta loro da Gesù. Maria non sa ciò che il figlio farà, sa solo che di Gesù ci si può fidare ed è questa fiducia collaborativa che vuole trasmettere ai servi, ossia a tutti coloro che vorranno accettare la presenza del Messia.
E come nell’alleanza del Sinai, Israele si era dichiarato disposto a fare tutto quello che il Signore aveva detto, ora la stessa disponibilità è chiesta da Maria ai servi del banchetto nuziale a Cana di Galilea. L’alleanza non può prescindere dalla collaborazione attiva dell’uomo, invitato da Dio a rispondere in modo operoso alla sua iniziativa per farlo partecipare alla sua stessa vita.
Il primo ordine dato da Gesù ai servi è di riempire di acqua le giare vuote ed essi, scrupolosamente le riempiono fino all’orlo, preludio dell’abbondanza del dono che farà per la riuscita piena della festa di nozze. Il passaggio attraverso le giare per la purificazione rituale dei giudei sta a indicare che la religiosità antica era ormai sterile; il ruolo di Gesù Messia sta nell’operare una trasformazione profonda della legge antica, nella sua vivificazione. Trova finalmente compimento la profezia di Geremia a proposito dell’alleanza nuova che trasforma l’interiorità dell’uomo (Ger 31,31-34): l’acqua delle abluzioni, infatti, ha con l’uomo un contatto puramente esterno, serve a lavare il corpo; il vino invece è destinato a essere bevuto, a entrare nell’uomo.
L’ultimo versetto del brano evangelico, che dice: “Questo, a Cana di Galilea, fu l'inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui” (Gv 2,11), riassume il tutto interpretandolo nel suo vero significato. Siamo all’inizio dei miracoli che Gesù opera e che l’evangelista Giovanni qualifica con insistenza come “segni” per indicare il loro scopo di rimandare a un significato ulteriore e  più profondo del puro fatto narrato.
Il “segno” è un’emanazione di luce, vale a dire che illumina il ministero di Gesù, ne rivela il senso. Egli svolge un’opera che va sotto il nome di “gloria”; egli rivela con il suo agire la gloria di Dio. Il senso di questa affermazione si trova nel fatto che tutto ciò che viene compiuto da Gesù è un servizio alla vita, come sarà più avanti illustrato dall’episodio della resurrezione di Lazzaro quando dichiara: «Questa malattia... è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato» (Gv 11,4) e da quanto è detto a commento delle parole di Gesù nell’ultimo giorno della festa delle Capanne: “...non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato” (Gv 7,39).
È veramente significativo che il primo “segno” compiuto da Gesù sia all’interno di una festa nuziale e per garantirne l’esito felice; anche per noi recuperare la prospettiva della festa significa disporre di un tempo di riflessione, di celebrazione e di “vacanza” (intesa come mancanza di attività mercantile) per  porre al centro dei nostri interessi i significati più profondi e soprannaturali della vita.
Le nostre “feste” religiose hanno ancora questo significato?

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