Commento al Vangelo domenicale
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Un Salvatore messo a morte metro della grandezza

Marco 9,30-37
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Nel Vangelo di questa domenica ascolteremo il secondo annuncio della passione, dopo aver sentito il primo domenica scorsa; veramente nel racconto evangelico i due annunci non sono consecutivi, come potrebbe sembrare dalla successione liturgica, soltanto che i brani intermedi vengono letti in altre ricorrenze liturgiche. Nel brano che leggiamo oggi l’annuncio della passione è immediatamente collegato al problema dei primi posti nella “gerarchia” del Regno e al problema del servizio, mentre il primo annuncio aveva soprattutto lo scopo di cominciare ad illuminare l’identità messianica di Gesù, confessata poco prima da Pietro.
La scena si svolge non più nel territorio pagano della città di Cesarea di Filippo ma nella Galilea, parte nord della Palestina, culla del Vangelo, e segna l’inizio del viaggio definitivo di Gesù verso Gerusalemme. Il viaggio, più che un elemento geografico-temporale diventa il luogo della riflessione sul modo di essere discepoli (un richiamo al cammino del popolo ebreo nel deserto?). La strada in Marco è sempre simbolo del dono di sé, del farsi piccolo e prossimo e il significato di quel viaggio, che vuole fare in incognito, indica che il suo insegnamento, dato lungo il cammino è riservato ai discepoli.
Lungo questo cammino Gesù fa il secondo annuncio della passione. Rispetto al primo annuncio l’elemento nuovo è l’introduzione del verbo “consegnare” al passivo (viene consegnato, sarà consegnato) e l’accentuazione del rifiuto delle autorità, rievocando così il servo sofferente di Dio, come predetto da Isaia, e d’ora in poi Marco adotterà questo verbo per evocare il tradimento e la passione di Gesù e quella, in futuro, dei discepoli. I responsabili della consegna-uccisione di Gesù restano anonimi e soltanto al Getsemani si preciserà che sono dei peccatori.
Ancora una volta i discepoli non comprendono, restano increduli e temono di chiedere spiegazioni. La loro paura rivela che mancano di una fede solida e che devono ancora maturare nella conoscenza del mistero di Gesù.
L’urgenza di andare a Gerusalemme, non impedisce a Gesù una breve sosta nella “casa” di Cafarnao. La casa, forse di Pietro, nel cristianesimo delle origini è un ben noto simbolo della comunità ecclesiale. Qui veniamo informati di ciò che ha occupato o più precisamente distratto i discorsi dei discepoli durante il viaggio. L’argomento è il più adatto a suscitare rivalità e contese, a coltivare ambizioni e desiderio di emergere sopra gli altri: hanno discusso su “chi di loro fosse il più grande”. Quasi a dire a Gesù: «Tu vai a preparare il Regno, non ci interessa in che modo; noi pensiamo a spartirci le cariche!»
Gesù, peraltro, con divina bontà e materna comprensione, evita di rimproverarli per la loro rozzezza ed esprime grande pazienza per il fatto che sono ancora “acerbi” per entrare nella dinamica del mistero pasquale, perché la disputa sul ruolo di preminenza nel gruppo conferma incomprensione dell’annuncio della passione. Attaccando alla radice la smania di orgoglio e di potere (vedi anche la seconda lettura di oggi), Gesù segnala dove sta l’autentica grandezza. Prima coglie l’occasione per ricordare ai discepoli, senza eccezioni né ridimensionamenti o mezze misure, che la vera grandezza sta nel servizio verso tutti.
Si tratta della logica e dello stile di Gesù stesso, come dimostrerà l’evangelista Giovanni nel capitolo tredicesimo del suo Vangelo, con la lavanda dei piedi al quale fa da contrappunto Marco nel momento della passione con le parole: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la vita in riscatto per molti” (Mc 10,45). Si noti bene che Gesù non sopprime il desiderio che ogni uomo ha in sé di primeggiare, ma ne cambia il modo: si è primi essendo ultimi e con gli ultimi, affettivamente ed effettivamente, senza riserve.
Per rendere più espressivo il suo insegnamento, Gesù, come gli antichi profeti, accompagna le parole con un gesto: pone un bambino al centro e lo abbraccia teneramente (gesto che gli è abituale). La collocazione al centro è un primo messaggio di attenzione rivolta al bambino, che solitamente nella società del tempo non aveva nessun valore. Arrivano poi le parole a completare e a delucidare il comportamento fatto di accoglienza. Gesù, identificandosi in un bambino, valorizza una realtà che agli occhi comuni sembrava di scarso o nessun rilievo. Egli realizza quel capovolgimento del giudizio umano cantato nel Magnificat e attualizzato nella croce: accogliere e valorizzare le realtà semplici e apparentemente insignificanti è il modo corretto e fruttuoso di andare a Gerusalemme per condividere con Gesù il mistero pasquale.
A conclusione di queste riflessioni non possiamo non ricordare le pagine luminose scritte da tante persone, famose o più semplici e nascoste, lungo tutta la storia della Chiesa con un servizio generoso e veramente cristiano. Non possiamo dimenticare però tante situazioni di arrivismo prettamente mondano che anche oggi segnano il lato umano della Chiesa né dimenticare i tanti, troppi e terribili episodi di mancanza di rispetto dei bambini, con la orrenda piaga della pedofilia, che semina tanto scandalo e tante sofferenze nel cuore stesso della Chiesa e di Cristo.
Non serve solo condannare ma richiede da parte di tutti un impegno intenso nella preghiera e nell’operare fattivamente perché il volto della nostra amata madre Chiesa torni a splendere come era nelle intenzioni del Signore Gesù.

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