Commento al Vangelo domenicale
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Solo Gesù conduce al pascolo della salvezza

Giovanni 10,1-10

In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

Parole chiave: IV Domenica di Pasqua (7), Vangelo (389), Commento (92)
Solo Gesù conduce al pascolo della salvezza

In questa IV domenica di Pasqua, dopo la lettura del testo lucano dell’episodio vissuto dai discepoli diretti a Emmaus, la liturgia riprende la proclamazione del Vangelo secondo Giovanni con il brano collocato all’inizio del capitolo decimo, e quindi all’interno della prima parte dell’opera giovannea chiamata solitamente “libro dei segni”.
Gesù è a Gerusalemme in un tempo non ben definito tra l’autunnale Festa delle Capanne e quella della Dedicazione del Tempio, che ha luogo in dicembre. Nel capitolo nove, a seguito della guarigione di un uomo cieco dalla nascita effettuata dal Nazareno in giorno di sabato, viene descritto uno scontro verbale tra il Maestro e alcuni farisei. Mentre, infatti, grazie alla fede in Gesù l’uomo passa dalla cecità alla vista, le autorità religiose si palesano cieche e assolutamente incapaci di riconoscere l’opera di Dio manifestata da suo Figlio. Nel testo evangelico di questa domenica tale conflitto con i capi religiosi continua e viene descritto ricorrendo ad una serie di antitesi che intendono mostrare la centralità di Gesù nel piano di salvezza di Dio poiché chi ha la pretesa di guidare altri verso la vita vera a prescindere da Lui non può che rivelarsi un ladro o un brigante.
Nel testo biblico la figura del pastore torna più volte ed è utilizzata sovente anche come tipologia. In diversi salmi è frequente il riconoscimento di Dio come pastore e del popolo di Israele come suo gregge; pertanto le narrazioni delle diverse situazioni in cui si trovano il pastore e le pecore hanno la funzione di presentare una lettura dei rapporti tra il Signore e i figli di Israele in un determinato contesto storico.
Il tema inerente al pastore è presentato con una affermazione che ricorda lo stile proverbiale e che pone in netta antitesi le figure del pastore, appunto, e quella del ladro/brigante. Questi due personaggi si collocano l’uno agli antipodi dell’altro sia per il modo che hanno di entrare nell’ovile, sia per il rapporto che intrattengono con le pecore. Il pastore entra dalla porta, viene riconosciuto dal guardiano che lo lascia passare, chiama le pecore per nome ed esse ascoltano la sua voce. Successivamente egli conduce fuori i suoi animali e quando sono usciti tutti, cammina dinnanzi a loro, che lo seguono perché riconoscono la sua voce. Di contro, il ladro cerca di introdursi all’interno dell’ovile per vie secondarie e non autorizzate e le pecore non lo seguono, perché non conoscono la sua voce, colui che si trovano davanti è solo un estraneo. Più avanti nel testo Giovanni identificherà le pecore che ascoltano la voce del pastore e lo seguono, con coloro che si lasciano raggiungere dalle parole di Gesù, hanno fede in Lui e lo seguono. Dai semplici gesti che compiono le pecore, infatti, viene delineato il cammino di sequela cui è chiamato ogni discepolo: ciascuno è nella condizione di ascoltare la voce del Maestro, di riconoscere che la Parola che Egli proclama tocca la sua vita, di seguire i suoi passi lasciandosi condurre docilmente.
La reazione che la sentenza del Maestro suscita tra gli ascoltatori non è positiva: l’evangelista registra una mancata comprensione delle affermazioni di Gesù, che quindi riprende la parola asserendo di essere la porta delle pecore. L’immagine della porta rimanda a diverse situazioni e realtà: più volte nei salmi è indicata come luogo di incontro dei capi e delle autorità cittadine (cf: Salmo 69,13; 127,5), ma ancora più spesso è associata a contesti religiosi come l’ingresso in aree sacre o al Tempio, che costituisce lo spazio dell’incontro con Dio (cf: Salmo 118,20).
Il ruolo di Gesù come “porta” esprime il suo essere l’unico mediatore per raggiungere la salvezza, la cui missione si pone in assoluto contrasto con quella del brigante: Egli è il solo che può portare alla salvezza offerta da Dio, che può dare accesso alla vita piena e abbondante. Allo scopo di rafforzare tale concetto Giovanni fa ricorso alla coppia di verbi “entrare” e “uscire” (Gv 10, 9) che in ambito biblico rimanda all’idea della totalità, alla possibilità di un accesso libero e illimitato al pascolo. Mentre il ladro e il brigante hanno intenti distruttivi e di morte, il pastore vero, quello legittimo, offre in dono la vita e la libertà – Gesù non concede l’ingresso ad un recinto o a un luogo delimitato, ma ad un pascolo – e tale regalo è possibile grazie alla relazione che intercorre tra il pastore e le sue pecore: un rapporto di conoscenza così profonda e autentica da diventare cura, dedizione e amore. E chiunque si sente conosciuto e amato ha il desiderio di stare con chi gli offre un amore così grande e avvolgente.

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