Commento al Vangelo domenicale
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La legge è l’amore la strada è la ricerca

Matteo 22,34-40

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Anche l’episodio riportato nel vangelo di questa trentesima domenica del tempo ordinario si svolge a Gerusalemme, nell’ultimo periodo della vita di Gesù; ricompaiono come attori i farisei attraverso un loro esperto nella Legge, e anche se la questione proposta non presenta un trabocchetto, come in altre circostanze, tuttavia l’annotazione dell’evangelista che dice “per metterlo alla prova” denota ormai l’atteggiamento definitivo delle classi dominanti religiose e politiche, ostile e maldisposto.
Come possiamo vedere la domanda posta a Gesù dice: “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?” (Mt 22,36). Si tratta di una questione molto dibattuta nelle scuole farisaiche e rivela il desiderio di un principio unificatore dell’immensa quantità di norme che erano state individuate nella legge mosaica.
Anche il più scrupoloso dei farisei si trovava in difficoltà a vivere i 613 precetti della Legge mosaica (365 – quanti sono i giorni dell’anno – erano proibizioni e 248 – quante erano le parti del corpo umano secondo l’anatomia del tempo – erano comandi positivi). È normale quindi che fosse piuttosto diffusa la ricerca di un principio unificatore, letteralmente un gancio, a cui appendere tutta la ricchissima legislazione religiosa e sociale.
La risposta di Gesù, apparentemente, non porta nessuna novità: i due comandamenti “amare Dio e amare il prossimo” vengono enunciati ricorrendo a brani della Scrittura presi dai primi cinque e fondamentali libri della Bibbia: la “Torah”, cioè la Legge.
 Rispettivamente dal libro del Deuteronomio il primo comandamento, dalla preghiera ripetuta più volte al giorno dagli ebrei religiosi, chiamata Shemà, dalla parola iniziale e che recita: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti dò, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte” (Dt 6, 4-9).
Il secondo comandamento è preso dal libro del Levitico all’interno del cosiddetto “Codice di santità” che dice: “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore” riecheggiato anche da Paolo quando dice: “Pieno compimento della Legge è l’amore» (Rm 13,10).
Ma l’elemento nuovo introdotto da Gesù è il passaggio dal primo al secondo comandamento e, soprattutto, nella notazione della somiglianza esistente tra il primo e il secondo, fra l’amore di Dio e l’amore del prossimo. La risposta di Gesù propone dunque un nuovo principio unificatore della Legge: il coinvolgimento di ogni altra persona (l’idea di prossimo come illustrata dalla parabola del buon samaritano) nella mia relazione totalizzante con Dio.
Il comandamento dell’amore di Dio e del prossimo sembra a prima vista prescrivere qualcosa di estremamente comprensibile: quale parola è più usata nelle nostre relazioni che quella di amore? E tuttavia nel concreto costatiamo che l’amore così predicato è spesso debole, evanescente, legato più ai sentimenti che ad una realtà seria vissuta quotidianamente e per di più tutto sembra essere possibile circa l’amore eccetto il fatto di essere comandato.
Innanzitutto ci domandiamo come possiamo concretizzare l’amore di Dio e come viverlo “con tutto il cuore” dal momento che di fronte a lui ci sentiamo vacillare, avvertendo la nostra incapacità e debolezza. Possiamo amarlo nella fede, invocandolo nella preghiera; possiamo amarlo perché egli ci comunica il suo stesso amore. Possiamo amarlo perché egli ha assunto il volto umano di Gesù, si è reso amabile in lui, si è fatto vicino nel Figlio suo che ha assunto la nostra carne, la nostra umanità. Gesù ci manifesta l’amore di Dio e ci dice così come rispondere all’amore di Dio.
La stessa difficoltà la possiamo incontrare anche nell’“amare il prossimo come noi stessi”: non è detto che poiché il prossimo è a portata di mano, per questo sia più facile amarlo però è anche vero che: “Se uno dice: «Io amo Dio» ma odia suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto” (1Gv 4,20). La risposta la troviamo nella vita del Signore Gesù, nel suo stile di accoglienza verso tutti, nella sua capacità di trovare il positivo in ogni persona e nel dono dello Spirito Santo che è la forza necessaria per vivere lo stile cristiano che è lo stile di Cristo.
Certo l’impresa appare formidabile, quasi impossibile, ma a questa impresa si può applicare quello che dice Pascal in uno dei suoi pensieri a proposito della ricerca di Dio (cito a memoria): “Di fronte a Dio potrà essere giustificato chi potrà dire: ho cercato e ho trovato, o chi potrà dire: ho cercato e non ho trovato; non troverà giustificazione chi dirà: non ho cercato e non ho trovato”. Così nell’amore del prossimo: solo chi ha cercato di amare seriamente sarà giustificato davanti a Dio.
Don Adelino Campedelli

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