Commento al Vangelo domenicale
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Il Signore passa sulle strade della nostra vita

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.

In questa trentesima domenica del tempo ordinario l’evangelista Marco ci presenta il Signore, nella sua ultima tappa prima di entrare in Gerusalemme, in un incontro con la figura del giovane cieco seduto a mendicare sul ciglio della strada. È lungo la via, abbandonato a sé stesso, prostrato nella sua condizione di desolazione. Ha però un nome, Bartimeo e un padre; non ha ancora perso contatto con la realtà; vi è un’appartenenza che gli consente di mantenere accesa una piccola fiammella di speranza. Il suo grido è un urlo disperato che parte dal cuore di un uomo che soffre, dove è venuta meno la forza di reagire di fronte alle difficoltà della vita.
È inevitabile per me fare un confronto con i tanti giovani che ormai da molti anni incontro nelle mie giornate di impegno professionale. Uomini che vivono ai margini, feriti dalla vita, che, con fatica, si trascinano cercando di arrivare al giorno successivo. Nella disperazione delle loro giornate spesso vi è un urlo nascosto che esprime un dolore profondo, che nasce non tanto dalla povertà della condizione in cui si trovano o dalla mancanza di una casa e di un lavoro, ma dalla solitudine in cui trascorrono le giornate, dal vuoto che si è creato gradualmente nella loro vita, dalla mancanza di relazioni umane e affettive. Ecco alcune parole che un amico mi scrisse dal carcere: “Qui in prigione non si può far altro che pensare, scrivere, ma io non ho nessuno, per cui scrivo a te, che ti giudico una persona sensibile...”.
Anche questo giovane Bartimeo, che si trova in strada, ha una famiglia, ma è solo, nel buio della sua vita, un’esistenza che non è sempre stata così, ma che lo è divenuta, giorno dopo giorno, fino a renderlo cieco. La sua richiesta forte, incontenibile, urlata è: “Rabbunì, che io veda di nuovo!”. Quel “di nuovo” lascia intendere che un tempo gli occhi del suo cuore vedevano la luce e che il buio di oggi è tanto più doloroso, quanto più un tempo, ormai lontano, era bello vedere il sole. Quell’uomo cieco, che ha riconosciuto il Messia, chiede a Gesù di accoglierlo, di ascoltare il suo grido di disperazione, di perdonare i suoi peccati, liberandolo dalla schiavitù.
Questo brano del Vangelo va letto e riflettuto in modo intimo, perché entra nel profondo del nostro cuore, negli anfratti delle nostre paure e incertezze, perché il buio del giovane cieco, è un’oscurità che forse rischia di sfiorare anche le nostre fragili esistenze e intaccare le nostre sicurezze. È l’oscurità che talvolta ricopre le nostre giornate, la fatica di sollevarci ogni giorno per vivere con la luce di Cristo, l’impegno di essere coerenti nella nostra vita anche quando questo ci porta a pagare di persona. Ma, soprattutto, è la lontananza dalla luce, dall’unico sole che porta calore nel cuore: Cristo Gesù. Il freddo, che rischia di avvolgere le nostre fragili esistenze, nasce dalla distanza che talvolta poniamo tra noi e l’abbraccio del Padre e del suo figlio Gesù.
Il Signore è presente nelle nostre vite, passa per le vie dei nostri quartieri e dei nostri luoghi di residenza. Penso sia l’esperienza di ciascuno di noi, quella di provare fatica a realizzare anche i gesti quotidiani più semplici quando ci sentiamo scarichi spiritualmente! Tutto sembra inutile e così pesante; si sente il freddo penetrare dentro, e la luce del giorno si copre di una foschia che rende l’ambiente tetro e poco luminoso: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». Il Signore risponde sempre, quando a lui ci rivolgiamo con fede. In ogni momento è disposto ad accogliere le nostre fatiche, trasformandole in occasioni di rinnovata energia e vivacità: “E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada”.
Vi è un’ultima considerazione su cui vale la pena riflettere: se il Signore è sempre pronto ad accogliere le nostre fragilità, d’altra parte chiede a noi di essere operatori di carità nei confronti dei fratelli che chiedono un po’ di comprensione e di ristoro. A Bartimeo era permesso mendicare, purché non disturbasse la quiete pubblica. Nel momento del suo grido scomposto tentano di farlo tacere, sicuri nel loro falso benessere e nelle apparenti sicurezze acquisite. Bartimeo, appena sentita la chiamata di Gesù, butta via il mantello che da anni lo copriva, forse l’unico riparo dagli inverni e soprattutto dai cuori induriti degli uomini del suo paese. Ma egli non aveva più bisogno di ripararsi e coprire la sua povertà: quell’uomo diviene il “modello” del discepolo che segue Gesù sulla strada con tenacia e fedeltà, perché: “Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia” (Papa Francesco, Evangelii gaudium, n. 3).

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