Cinema
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Lo straziante calvario di Stefano Cucchi

Sulla mia pelle
(Italia, 2018)
Regia: Alessio Cremonini
Con: Alessandro Borghi, Max Tortora, Milvia Marigliano, Jasmine Trinca
Durata: 100’

Parole chiave: Stefano Cucchi (1), Cinema (99), Film (101)
Lo straziante calvario di Stefano Cucchi

Alessio Cremonini, già sceneggiatore di molte produzioni per la televisione e per il cinema, ha costruito insieme a Lisa Nur Sultan – scrittrice e autrice di testi per il teatro e la televisione – una vera e propria via crucis basata su una accuratissima ricostruzione dei fatti che hanno portato alla morte in carcere, a soli 31 anni, di Stefano Cucchi, compiendo una scelta stilistico-narrativa di grande valore.
Viene cioè operata una sistematica sottrazione del facile effetto emotivo, non sollecitando e solleticando la sensibilità superficiale dello spettatore, ma lasciando alla sua intelligenza la valutazione sullo svolgimento dei fatti.
Così, in modo del tutto appropriato e cinematograficamente efficace, non assistiamo come testimoni oculari al pestaggio di Stefano Cucchi, che avviene dietro una porta chiusa.
Non c’è bisogno di vederlo. Non abbiamo necessità che si indugi su particolari cruenti e disturbanti, che potrebbero provocare un controproducente effetto di rifiuto, se non addirittura – grave colpa di moltissimo cinema contemporaneo – di compiacimento.
Molto più efficace, molto più intenso, molto più utile a scavare e incidere nella nostra memoria estetica ed etica è il volto scavato, sofferente, martirizzato di Stefano.
A questo proposito è davvero impressionante e memorabile il lavoro di interpretazione di Alessandro Borghi, che si dev’essere sottoposto a un vero e proprio tour de force fisico, oltre che di concentrazione attoriale, per dar corpo e voce al percorso del giovane dalla vita quotidiana allo strazio della fine.
I molti elementi di voluto disturbo visivo (grate, sbarre, il progressivo fuori fuoco al momento della morte) rappresentano l’elemento strutturale che conferma e rafforza il disagio che è necessario provare.
Le soggettive del protagonista, soprattutto quella in cui l’ennesimo trasporto in lettiga ha come unico momento di respiro il passaggio dalla luce artificiale dei corridoi delle carceri e degli ospedali a quello dell’aria aperta, se pure con inquadrature oblique che certo non restituiscono serenità, contribuiscono a farci percepire in modo ancor più efficace la sua sofferenza.
La volontaria che nelle ultime ore della sua breve vita avrà qualche momento con Stefano ad un certo punto, dopo aver appreso il desiderio del giovane di avere una Bibbia, gli chiede: «Sei credente?». «Sono sperante», risponde Stefano.
Non è facile, a valutare i fatti, ricorrere a principi di speranza, davanti ad una storia come la sua. Grande merito di tutti coloro che hanno lavorato a questo film è di ricordarcelo con la forza di un racconto convincente da tutti i punti di vista.

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