Cinema
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Film di qualità che fa bene al cuore

L’altro volto della speranza
(Finlandia, 2017)
regìa: Aki Kaurismaki
con: Sherwan Haji, Sakari Kuosmanen, Janne Hyytianien
durata: 98’
Valutazione Cnvf: consigliabile/problematico/dibattiti

Parole chiave: L'altro volto della speranza (1), Sul Grande Schermo (18), Cinema (99)
Film di qualità che fa bene al cuore

Come sanno bene i giornalisti, è praticamente una regola che la notizia cattiva scacci quella buona. Vale, purtroppo, anche per troppo cinema contemporaneo, che si dedica con pervicacia a raccontar storie e a tratteggiar personaggi quanto più possibile negativi, cinici, magari anche perversi.
Lodevolissima eccezione, cinematografica oltre che morale, è il regista finlandese Aki Kaurismaki, che firma il secondo capitolo di una annunciata trilogia, iniziata nel 2011 con Miracolo a Le Havre.
I personaggi dei film di Kaurismaki sono sempre persone comuni, immerse, a volte affondate, in quella quotidianità che spesso i titoli dei giornali e dei telegiornali sbandierano come emergenza e allarme, e che invece è flusso di storia e di donne e uomini in carne ed ossa che vivono, amano, soffrono, sperano, appunto.
È il caso di Khaled Ali (Sherwan Haji), fuggito da Aleppo a causa della guerra, e di Waldemar Wikstrom (Sakari Kuosmanen), che faceva il commerciante e ha deciso di cambiar vita aprendo un ristorante. Apparentemente due mondi lontanissimi, non solo geograficamente, che dovrebbero dar ragione a profeti di sventura e teorizzatori di sovranità autoctone più o meno convincenti. In realtà, come solo pochi registi stanno cercando di descrivere, vite e vicende che se conosciute oltre il pregiudizio e la paura possono svelare un’umanità che è davvero senza confini e capace di travalicare ogni muro.
Lo stile di Kaurismaki, anche qui riproposto con tutte le sue costanti, non è però mai quello di storie drammatiche raccontate con toni pesanti, ma, al contrario, è sempre segnato da momenti ironici, da intermezzi persino buffi, da piccoli dettagli rivelatori e da un uso della musica, rock e blues soprattutto, che serve a confermare la scelta di affratellamento fra i protagonisti delle vicende narrate.
Fa bene al cuore, oltre che al gusto dell’appassionato, veder descritto un mondo nel quale il fatto che qualcuno dorma in un sottoscala non viene accettato come la normalità; dove anche una scazzottata diventa il passaggio per far amicizia; dove la cucina etnica non è espediente raffinato per spennare i clienti, ma riconferma del cibo come risposta ad un bisogno primario.
Così come il protagonista, in molti momenti, anche lo spettatore potrebbe dire: «Non ho ancora capito se devo ridere o piangere». Come da risposta nel dialogo: «Lo capirai presto», vedendo un film di grande qualità.

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